La neve, generosa, copre i passi sbagliati

Una sottile coltre di neve copre il tetto della casa dove sono cresciuto, mentre sto scrivendo. D’altronde è anche giusto: domenica scorsa l’Orso di Urbiano è uscito, ha impazzato per la borgata di Mompantero, ha ballato con le ragazze e alla fine si è calmato (sì, ha ballato anche con Marta, guardare per credere). Ma era una bellissima giornata di sole, cielo terso e vento gelido. Quindi, secondo i detti tradizionali, ci toccano ancora almeno 40 giorni di inverno profondo.

Linda &; the Grennman a TorinoEd è proprio da qui, da Rivoli, che quest’anno è iniziato con una novità. Con un gilet, un cappello, la fisarmonica di Marta e il vecchio bouzouki nero – che giaceva inutilizzato dai tempi dei DdSAcousticBand – sono corso in aiuto di chi, oggettivamente, non ne aveva bisogno. Sto parlando del neonato duo Linda & The Greenman, ovvero Linda Messerklinger – attrice, modella, eh sì, pure cantante e songwriter – e Gigi Giancursi, autore e chitarrista ex Perturbazione, con cui già ebbi modo di collaborare in passato. La limpida voce di Linda e il morbido fingerpicking acustico di Gigi descrivono atmosfere delicate e oniriche. Il sottoscritto compare di tanto in tanto per condire il tutto con importanti dosi di sberluccicoso realismo sonoro.

Ma le parole sono parole. Credo che il risultato sia piuttosto equilibrato, e al di là di tutto, come si diceva con il buon Gigi, se le canzoni sono belle, il resto è contorno. E le canzoni, secondo me, sono belle.

Qui sotto vi beccate Una stagione in silenzio – primo inedito – dal vivo, con me che alla fine mi faccio un giretto fuori pista.

Se preferite, il singolo in versione originale lo sentite qua, o se addirittura intendete sostenere questi ragazzi, potete anche acquistarlo in digitale a prezzi modici.

Abbiamo fatto insieme già qualche data, compreso un miniminiminitour Vigevano/Novara, con tanto di letti scroccati all’ultimo minuto, nebbia come se non ci fosse una prossima rotonda, liquorosi aperitivi in barsport fermi agli anni ’60, chiacchiere con amici occasionali, capotasti sbagliati, cene a sbafo, grande calore in posti che non avresti detto, campionato di Tetris hardlevel (5 in una Panda con strumenti)… ma si sa, i suonatori ‘ste cose le fanno, se le raccontano, ci ridono sopra, ci ricamano. Il concerto è, in definitiva, un’apostrofo sonoro tra un viaggio in macchina e un riavvolgere i cavi. La musica consiste negli uomini e nelle donne che la fanno, la ascoltano, la ballano; non c’è di niente di trascendentale in questo. E’ vita pura. Alla fine è il contorno quello che amiamo, che non sopportiamo più, che ci appassiona da matti, che ci fa bestemmiare e minacciare che basta, questa è l’ultima volta che prendo una data, che parto, che scrivo una canzone. E a me, che musicista non sono, ogni tanto piace fare una passeggiata in questo luccicante, infido, grandioso luna park, tanto assurdo quanto, in fondo, normale.

Insomma, restate in ascolto per i prossimi giri.

P.S. Ho ristrutturato un pò questo blog, il cui stato è comunque di eterno semiabbandono. A sinistra trovate nuove pagine, come Attività live, Produzioni musicali e Pubblicazioni. Giusto per dare la falsa impressione che io sia una persona seria.

Dice che era un bell’uomo…

Sono anni che faccio un gioco con un amico, un ex compagno di banco del liceo. Le strade ci hanno allontanato, come spesso succede, ma cascasse il mondo ci mandiamo tre sms all’anno, in tre date precise: chi si ricorda prima inizia la frase, l’altro risponde e la conclude, a volte con piccole variazioni. Le date sono il 29 settembre (“seduto in quel caffè io non pensavo a te”), il 21 dicembre (“4 gionni a nnatale”) e oggi, il 4 marzo.

“Dice ch’era un bell’uomo…e veniva dal mare”.

La vita è fatta di tante cose, grandi e piccole, e non mi stanco mai di dirlo, la musica ne è parte integrante. Le canzoni, il mondo di suoni in cui siamo immersi, ci formano, ci aiutano, ci parlano, ci rispondono, ci fanno arrabbiare, ci emozionano, ci commuovono e via dicendo. Le parole sono cantate da voci amiche, e quella di Lucio Dalla era, per quanto mi riguarda, una delle più vicine.

Mi è dispiaciuto sapere della sua, per così dire, trasfigurazione in angelo. In pochi minuti la bacheca di facebook mi si è riempita di sue canzoni, nei cui testi, chi più chi meno aveva cercato parole che in qualche modo parlassero di morte, e ho scoperto che ce ne sono parecchie. Ma si tratta quasi sempre di una visione molto serena, una liberazione, e mi piace pensare che sia stato davvero così. Io ho scelto Cara, una delle mie canzoni preferite in assoluto (“…ma so già cosa pensi, tu vorresti partire, come se andare lontano fosse uguale a morire, e non c’e’ niente di strano ma non posso venire”) e La casa in riva al mare, una di quelle che è difficile ascoltare senza commuoversi nel finale (“…e poi fu solo in mezzo al blu. Vengo da te, Maria”).

So già che mi dilungherò troppo.

Qualcuno dice che gli assomiglio… certo, non è un complimento, ma non si può negare che barba e occhiali ci siano, e poi spesso uso in concerto un cappello bianco simile a quello che portava lui negli anni ’90 – periodo Attenti al lupo. E poi è stato una fonte di ispirazione a cui attingere… diciamo che da anni mi viene difficile concludere un concerto con i Tavernacustica senza l’immancabile Disperato erotico stomp – presente in scaletta dai tempi in cui il gruppo era in versione embrionale e si chiamava Cerone & Friends – uno di quei pezzi che nessuno si stanca mai di ascoltare: ironico, istrionico, dissacrante, geniale.

Fra i cantautori è stato il più “cantante”, e uno dei più liberi dall'”impegno a tutti i costi”, anche in tempi non sospetti. Aveva una delle voci più interessanti del panorama internazionale – ancora oggi, non più giovane – in bilico fra tradizione (pop melodica, popolare, lirica) e sperimentazione estrema (jazz, progressive). Nell’incredibile estensione e intonazione perfetta, che mi hanno sempre lasciato esterrefatto ascoltandolo dal vivo, la sua voce poteva essere morbida, dolce, carica di bassi, o acutissima, graffiante, sgraziata. Indimenticabili i suoi vocalizzi tra il bebop e lo skat, tra l’assurdo straniante e l’ironia più ludica: usava la voce come voleva. Ricordo un’esibizione al Pavarotti & Friends, dove il tenore cantava Caruso e Dalla gli faceva il controcanto per terze superiori. Ma indimenticabili sono anche le sue parole.

All’inizio della carriera affidava ad altri la stesura dei testi (la maggior parte sono del poeta bolognese Roberto Roversi), fino alla seconda metà degli anni 70, quando conobbe Francesco De Gregori. Da lui imparò l’abilità nell’inanellare frasi apparentemente sconnesse che hanno senso se viste da lontano, e in cambio gli lasciò i suoi accordi complessi, con cui sporcare le canzoni, e qualche sfumatura nel modo di cantare.

L’ho visto l’anno scorso in concerto proprio con De Gregori alla reggia di Venaria, e fu davvero una grande emozione. Caruso da pelle d’oca, quando la ripresa del ritornello, con il salto d’ottava, ti tira dentro un teatro lirico, dove rivive una vecchia romanza napoletana, che ti butta in una tragedia personale, che si consuma su un balcone, che si sporge verso il mare.

Ho apprezzato anche la sua ultima apparizione televisiva a Sanremo 2012. La canzone cantata da Carone era, secondo me, una delle migliori: la mano di Lucio – e la sua potente voce – si sentivano.

Sempre originale, sempre imprevedibile, sempre sopra le righe.

Auguri di buon compleanno, vecchio gatto senza padrone.

Ma sì, è la vita che finisce, ma lui non ci pensò poi tanto, anzi si sentiva già felice e ricominciò il suo canto

E poi si vedrà

Da molti mesi questo blog pare disabitato. Io sono vivo, solo che i pensieri, quando trovano il tempo di costruirsi, li tengo per me.

Intanto l’inverno si fa spazio tra un autunno poco convinto e un Natale che ci coglierà di sorpresa, come sempre. Io mi fermo un attimo a pensare, dopo un periodo piuttosto frenetico che non mi ha lasciato molto riflettere sul passato e sul futuro. Faccio i conti e scopro che non è andato male questo anno, ma come al solito mi ritrovo in bilico su un baratro di incertezze.  Un anno fa avevo più paura, nonostante avessi da poco condiviso lo stesso palco con Nada, per una manciata di minuti che vi ripropongo (e che vi sia d’augurio): Ave Maria di Fabrizio De Andrè

La musica in tutte le sue forme (soprattutto quelle del ragionamento su di essa) mi ha regalato qualche soddisfazione e molte delusioni, ma conservo una certa fiducia nel futuro, cosa rara di questi tempi. Aspetto che escano le pubblicazioni a cui ho collaborato, provo a risistemare i tavernacustica, batto nuove frontiere della professionalità paramusicale, mi rilancio nelle serate da ballo, accantono il sogno delle mie canzoni, concludo l’esperienza intensa e non sempre appagante del Servizio civile. E poi si vedrà.

Auguri a tutti.

P.S. Vi rendo partecipi di un altro bel momento del concerto dedicato a La Buona Novella, condiviso con i Perturbazione: Tre madri