Masche nell’aria

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Zucche a Locana Canavese – Foto di @Zuccaviolina

Lo so, questo blog è stato trattato molto male, abbandonato più volte e più volte illuso che si sarebbe ripreso. Ma c’è anche da riconoscere che, alla fine, chi se ne importa.

Se raramente mi viene voglia di scrivere, e poi tanto la voglia passa in fretta, vorrei parlare di cose che affondano nell’immaginario collettivo quasi dimenticato, ma mai perduto del tutto, legato alle ricorrenze e alle festività, al ciclo delle stagioni e alle tradizioni ad esso legate.

Per esempio questo è il periodo dell’anno in cui si conclude tradizionalmente il lavoro nei campi, e i margari scendono dagli alpeggi con le loro mandrie. Arrivano i freddi, le giornate si accorciano, le ansie dell’inverno iniziano ad addensarsi, come questo inquinamento che ci fa respirare male, come il fumo di questi maledetti incendi. La cultura popolare ha soddisfatto l’esigenza di dare un nome e un posto a queste paure, e quindi ha fornito la chiave per superarle, alla fine, con una festa.

Ogni anno il giorno di Tutti i Santi io e Marta andiamo a trovare i suoi cugini a Locana, in valle Orco, dopo un saluto alla nonna al piccolo cimitero di montagna.

Oggi anche lì, come nei paesi anglosassoni, i bambini il 31 ottobre vanno a chiedere i dolci di casa in casa. Il giorno dopo però devono stare molto attenti, perché tutti sanno che nella notte del primo novembre passa il corso dei morti. Tutti in fila, in corteo, i defunti camminano con una fiammella accesa sulla punta del dito mignolo. Allora è meglio lasciare la tavola apparecchiata tutta la notte, con delle castagne e qualcos’altro da mangiare: passando, e rifocillandosi, i defunti lasceranno in cambio qualcosa, magari dei dolci.

La ultranovantenne cugina Maria, un paio di anni fa, ci ha raccontato altre storie terrificanti transitate dall’Ottocento montanaro alla modernità, in un sincretismo fantastico e pragmatico. Abbiamo quindi appreso che Locana era un paese di streghe, e forse qualcuna c’è ancora: quando si passa vicino alla loro dimora – perchè tutti sanno dove sono – è buona norma incrociare le dita nel gesto apotropaico nostrano (pollice pinzato fra indice e medio) per evitare il malocchio. Ad esempio c’era questa signora, chissà quanti anni fa, che per far togliere il malocchio alla sua bambina, affetta da inspiegabili febbri, è dovuta andare da una fattucchiera specialista fino a Torino – 60 km in bicicletta -. Perchè il controincantesimo funzionasse, la signora dovette tornare a casa velocemente senza voltarsi mai indietro, nonostante un’inquietante presenza alle sue spalle e incurante delle voci che la chiamavano. Il mattino dopo la figlia era guarita.

E poi ci ha detto delle masche, che si presentano sotto forma di splendidi animali bianchi: se li incontri e te li porti nella tua stalla, come successe ad un certo prete, la mattina dopo li ritrovi trasformati in bellissime donne, senza vestiti. Peccato che dopo averle viste muori.

Ma queste cose una volta erano per terra, mentre ora sono nell’aria, aveva concluso Maria. Come a dire forse che un tempo erano reali, facevano parte della vita quotidiana, le persone ci credevano davvero; invece oggi sono solo (più) storie, retaggi culturali. Ma, evanescenti, esistono ancora, e a volte ritornano.

La neve, generosa, copre i passi sbagliati

Una sottile coltre di neve copre il tetto della casa dove sono cresciuto, mentre sto scrivendo. D’altronde è anche giusto: domenica scorsa l’Orso di Urbiano è uscito, ha impazzato per la borgata di Mompantero, ha ballato con le ragazze e alla fine si è calmato (sì, ha ballato anche con Marta, guardare per credere). Ma era una bellissima giornata di sole, cielo terso e vento gelido. Quindi, secondo i detti tradizionali, ci toccano ancora almeno 40 giorni di inverno profondo.

Linda &; the Grennman a TorinoEd è proprio da qui, da Rivoli, che quest’anno è iniziato con una novità. Con un gilet, un cappello, la fisarmonica di Marta e il vecchio bouzouki nero – che giaceva inutilizzato dai tempi dei DdSAcousticBand – sono corso in aiuto di chi, oggettivamente, non ne aveva bisogno. Sto parlando del neonato duo Linda & The Greenman, ovvero Linda Messerklinger – attrice, modella, eh sì, pure cantante e songwriter – e Gigi Giancursi, autore e chitarrista ex Perturbazione, con cui già ebbi modo di collaborare in passato. La limpida voce di Linda e il morbido fingerpicking acustico di Gigi descrivono atmosfere delicate e oniriche. Il sottoscritto compare di tanto in tanto per condire il tutto con importanti dosi di sberluccicoso realismo sonoro.

Ma le parole sono parole. Credo che il risultato sia piuttosto equilibrato, e al di là di tutto, come si diceva con il buon Gigi, se le canzoni sono belle, il resto è contorno. E le canzoni, secondo me, sono belle.

Qui sotto vi beccate Una stagione in silenzio – primo inedito – dal vivo, con me che alla fine mi faccio un giretto fuori pista.

Se preferite, il singolo in versione originale lo sentite qua, o se addirittura intendete sostenere questi ragazzi, potete anche acquistarlo in digitale a prezzi modici.

Abbiamo fatto insieme già qualche data, compreso un miniminiminitour Vigevano/Novara, con tanto di letti scroccati all’ultimo minuto, nebbia come se non ci fosse una prossima rotonda, liquorosi aperitivi in barsport fermi agli anni ’60, chiacchiere con amici occasionali, capotasti sbagliati, cene a sbafo, grande calore in posti che non avresti detto, campionato di Tetris hardlevel (5 in una Panda con strumenti)… ma si sa, i suonatori ‘ste cose le fanno, se le raccontano, ci ridono sopra, ci ricamano. Il concerto è, in definitiva, un’apostrofo sonoro tra un viaggio in macchina e un riavvolgere i cavi. La musica consiste negli uomini e nelle donne che la fanno, la ascoltano, la ballano; non c’è di niente di trascendentale in questo. E’ vita pura. Alla fine è il contorno quello che amiamo, che non sopportiamo più, che ci appassiona da matti, che ci fa bestemmiare e minacciare che basta, questa è l’ultima volta che prendo una data, che parto, che scrivo una canzone. E a me, che musicista non sono, ogni tanto piace fare una passeggiata in questo luccicante, infido, grandioso luna park, tanto assurdo quanto, in fondo, normale.

Insomma, restate in ascolto per i prossimi giri.

P.S. Ho ristrutturato un pò questo blog, il cui stato è comunque di eterno semiabbandono. A sinistra trovate nuove pagine, come Attività live, Produzioni musicali e Pubblicazioni. Giusto per dare la falsa impressione che io sia una persona seria.

Storia di una Fava

Fava della Focaccia della Befana

Ieri mattina, giorno dell’Epifania, mi lavo, mi vesto, metto la mano in tasca e trovo 15 euro.

Evviva, penso.

Con Marta andiamo a pranzo da sua mamma, dove ci aspettano anche la zia e la nonna. A fine pasto, com’è usanza da noi, tagliamo la Focaccia della Befana. La fava stava nella mia fetta. Evviva, penso.

Secondo la tradizione piemontese, questo significa 2 cose: 1) per me sarà un anno fortunato; 2) perchè ciò si verifichi, mi tocca pagare la focaccia. Nessun problema: costa esattamente 15 euro. Evviva, penso.

Marta, che è saggia, mi suggerisce di conservare la fava e fotografarla, per aumentarne la potenza. Non si sa mai, la posto anche su Instagram e Facebook.

Verso mezzanotte, ormai a letto, mi riguardo la mia fotina e penso: chissà se qualcun’altro, da queste parti, ha come me trovato la fava, e come me l’ha fotografata e come me, non pago, ha deciso di instagrammare la sua fortuna per condividere questo momento col mondo intero? Spinto da questo desiderio, vado a a seguire l’hashtag #fava contenuto nella didascalia della mia foto. Si apre un mondo.

Lì per lì mi dico, caspita, è pieno di compaesani che si fotografano con la fava, e io che pensavo che i Piemontesi fossero gente schiva. Allora vado ad aprire qualche foto per vederne la provenienza geografica esatta. Marta, d’altro canto, mi diceva che nel Monferrato questa usanza non c’è, e volevo verificare che fosse Torinese e delle valli. Apro a caso e leggo i commenti. Lingua strana…potrebbe essere piemontese? Non credo. Potrebbe essere Spagnolo! Forse, ma non mi quadra. Un momento, potrebbe essere Occitano…o Provenzale! Ok, penso, è Catalano.

Chi mi conosce sa che la mia familiarità con le lingue è scarsa o nulla, così seguo il simbolino della localizzazione su alcune di queste foto, e vengo effettivamente trasportato a Barcellona. Da loro il dolce si chiama Tortell de Reis.

Capisco che il colpo di fortuna (il primo di una lunga serie, quest’anno, è ovvio), sta nel fatto che #fava in italiano e catalano si scriva (e si dica?) allo stesso modo (in spagnolo: haba). E questo mi ha facilitato orrendamente le cose.

Nel frattempo un’amica che si trova a Parigi mi scrive che lei ha trovato la fava nella Galette de rois. Adesso le tocca regalarla a qualcuno.

Sempre più confuso, continuo a guardare foto catalane e francesi, in mezzo a cui ne trovo solo un paio localizzate a Torino e dintorni. Confermando per altro le mie aspettative sulla bugianenità dei compatrioti. Qualcuno aveva anche fotografato la storiella catalana stampata, in versi (sempre più difficile, signori), che spiegava mitologicamente la tradizione. Traduco con l’ausilio di Marta che nel frattempo mi ha raggiunto per dormire.

Ebbene, il Tortell catalano contiene due fave, una vera e una in ceramica colorata. Chi trova quella finta è incoronato Reis, chi trova quella vera… beh, paga la focaccia.

Seguendo l’hashtag #feve per intercettare i cugini francofoni, capisco dalle foto che da loro, della fava, rimane solo il nome. La bacheca è infatti piena di pupazzetti, che evidentemente si trovano all’interno del dolce, e chi li trova diventa rois.

Cosa ci insegna questa storia? 10 insignificanti cosette:

  1. Per me sarà un anno fortunato
  2. Esiste una bella tradizione dell’Epifania che lega Piemonte, Catalogna e Francia
  3. Mentre Francesi e Catalani hanno sincronizzato questa usanza con quelle cristiane, introducendo la figura del Re (dai Re Magi), qui ce ne siamo bellamente fottuti.
  4. L’Epifania coincide con l’inizio del Carnevale
  5. Si possono fare interessanti (piccole) scoperte etnografiche utilizzando come sola fonte Instagram e come unico strumento uno smartphone, in meno di un’ora, dal letto di casa
  6. Il Catalano somiglia al Piemontese, boya faus
  7. Probabilmente la tradizione si è diffusa dalla Francia, dove oggi ha assunto il maggior grado di astrazione (la fava è stata sostituita con un pupazzetto, ed è sostanzialmente diventata un gioco)
  8. La focaccia della Befana costa parecchio e m’ha tocat pagar. D’altronde la fortuna, nel mondo popolare, non può arrivare dal nulla. E se arriva va condivisa con la comunità, anche simbolicamente
  9. Sono già in ritardo, con un post sull’Epifania scritto il 7 gennaio
  10. Fotografate la vostra fortuna, pagatela, condividetela e taggatela col proprio nome

Buon inizio d’anno

P.S. Nel pomeriggio di ieri ho giocato a tombola e poker. La mia vincita è stata di circa 15 euro.

La Lachera dietro la maschera

"Carassa" - palo rituale della LacheraTra i posti dove sono “nato”, e dove sono ritornato, c’è anche Rocca Grimalda. Piccolo paese dell’Alto Monferrato, che vedi se stai andando da Alessandria verso Genova, prima che inizino le gallerie.

Laggiù c’è la Lachera, un Carnevale unico, di quelli che gli antropologi ci vanno matti, ne parlano, ne scrivono, ci bevono su. Noi che siamo etnografi della domenica, preferiamo parlare con Giorgio, che di Lachera ne sa più di tutti, perchè la fa, ne tiene le fila, la vive. La domenica è più bello, ci ha detto, tutti indossano la maschera, i costumi sono a posto, non manca nessuno. Però… se volete vedere la festa vera… dovete venire sabato sera.

E infatti durante la questua serale abbiamo respirato un clima di grande effetto, coesione, amicizia. Abbiamo visto finalmente in atto le danze di cui tanto avevamo sentito parlare: la giga (che vedete nel mio video qui sotto), il calissun, la lachera, la monferrina e la curenta. E tutto quello che abbiamo letto e sentito finalmente assume senso. Sei osservatore, è vero, ma dentro fino al collo, con il bicchiere in mano, il salame, la zuppa di ceci, e ringrazi le padrone delle case ospitanti. Particolarmente suggestivo camminare al buio sul crinale della collina.

L’accoglienza è stata ottima da parte di tutti, abbiamo fatto incontri incredibili, come sempre.

Certo, il giorno dopo c’era il sole, c’era tanta gente, il convegno sulla figura del Lacchè, i simpaticissimi e bravissimi ospiti del Carnevale di Benedello, dall’Appennino modenese… atmosfera molto carica. Si coglieva l’altra faccia, scavando nel profondo, nella storia, nella cultura, nel simbolo. La sera prima ci era sembrato di intuire il significato della tradizione in continuo divenire, nell’istante che si manifesta oggi, con una presenza reale, attuale, un ritrovo di amici, un rinnovarsi di legami antichi, lo stringersi di nuovi. Un significato molto concreto. C’erano i tradizionali personaggi del Carnevale (gli sposi, i Lachè, il bebè, gli zuavi, il guerriero, i trapulin…), ma soprattutto c’erano le persone.

Esperienza magnifica, entrambi i giorni.

Ma noi forse siamo etnografi del sabato, più che della domenica.

Quei paesi che ci devi ritornare

Ci sono dei paesi che potrei definire magici. Sono depositari, più di altri e chissà per quali radicate ragioni, di saperi, misteri, memorie. Per le mie inclinazioni sono portato a notare i paesi “musicali”, quelli che vivono di esperienza sonora, dove la gente canta, dove il tempo è scandito dai suonatori.

In genere questi luoghi sono abitati da persone meravigliose, e quando ci passi tendi a volerci rimanere. Poi ritorni alla realtà, ma qualcosa si è mosso. Questi luoghi segnano, lasciano tracce: se li sai capire, sono capaci di illuminarti il mondo da punti di vista che mai avresti pensato. Somigliano a certi libri, ma io li preferisco, perchè il libro è esperienza privata. Il segreto di questi paesi, secondo me, sta nella socialità e nella condivisione.

Ne ho incontrati di posti così durante e mie piccole peregrinazioni, e ognuno di questi mi ha lasciato, in misura diversa, qualcosa. Cito Riva presso Chieri, Caprie, Portacomaro, Villar Focchiardo, ma non sono i soli. L’ultimo in ordine di tempo è un piccolo paese dell’Appennino bolognese, che si chiama Monghidoro.

Non dirò altro. Ci sono cose a cui la lingua non può arrivare. Lì, ad esempio, per capire, bisogna ballare.

E ballando, lì, ho conosciuto anche un’altra piccola comunità, formata dagli etnocoreologi che si occupano di danza tradizionale italiana: una manciata di persone squisite che arrivano da un pò tutto lo stivale, e ogni tanto si incontrano. L’ultima volta che ciò è accaduto ufficialmente, non ero ancora nato.

Qualche settimana fa, in questo incrocio di comunità, ho partecipato al mio primo convegno come relatore (con tanto di “cerimonia d’iniziazione” a suon di applausi).

Non poteva essere inizio migliore.

Ci sono paesi che prima o poi ci devi andare. Ma in certi paesi, invece, ci devi ritornare.

Io a Monghidoro ci ritorno.

P.S.

Se a qualcuno interessa, a proposito di condivisione, allego la presentazione della mia relazione Liscio e ballo a palchetto in Piemonte, ricca di foto e riferimenti audio\video (scaricabile in ppt seguendo il link).
Se non fosse ovvio, ricorderei che chi volesse utilizzarla in qualche forma, in linea di massima può farlo, ma è comunque auspicabile che prima mi contatti, e che poi citi la fonte. E ricordo anche che il saggio di riferimento, in cui tutto è spiegato, uscirà presto all’interno del libro curato da Noretta Nori, Viaggio nella danza popolare in Italia .2 – Itinerari di ricerca del Centro Nord, edito da Palombi. (Intanto è già uscito il primo volume – Guida allo Studio della funzione e della forma -, che è illuminante…)

E bene venga maggio…

La primavera è iniziata da un bel pò, anche se non si direbbe. Infatti non ho ancora preso un gelato cioccolato e limone, e questo significa che alcune cose stanno cambiando.

Si potrebbe quasi dire che inizio ad assaporare il gusto di qualche soddisfazione. No, la musica non c’entra, quella rimarrà il sogno che è, ma qualcosa si sta muovendo.

Ieri mattina ho firmato un contratto con l’Università di Torino, per un progetto molto interessante – lavoro a tempo determinatissimo, sia chiaro – che riguarda… boh, difficile da spiegare (e da capire), ma c’entrano la produzione audiovisiva, la semiotica, lo strutturalismo, il web semantico e un sacco di parole inglesi che mi toccherà imparare. Finalmente, dirà qualcuno.

Intanto lunedì 14 maggio presenteranno al salone del libro di Torino la prima pubblicazione a cui ho ufficialmente dato il mio piccolo contributo come autore di saggi. Si tratta di Le fonti musicali in Piemonte III – Asti e provincia, edito da LIM, terzo volume di una collana di cataloghi di fondi musicali piemontesi. I miei articoli riguardano i fondi che ho censito nell’astigiano, in particolare la collezione di strumenti musicali del Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco e gli archivi di alcune bande – ovvio -: quelle di Agliano Terme, Castiglione d’Asti, Tigliole e Portacomaro. Ancora l’amato Monferrato che mi ha fatto conoscere ottime persone, qualche personaggio indimenticabile, e intensi barbera.

Infine dovrebbe essere ufficiale che entro fine anno uscirà anche un altro mio saggio, pubblicato su un libro presumibilmente fighissimo, in tre volumi, che raccoglierà saggi dei più importanti etnocoreologi italiani (e io sarei fra questi?) sulla danza popolare in Italia. Ovviamente io ho scritto di ballo liscio, ballo a palchetto. Forse il saggio sarà corredato da un video che ho montato per l’occasione, una chicca che vi posto qua sotto.

La mitica banda di Caprie ha pensato di provare a ricostruire il vecchio modo di suonare e ballare della prima metà del Novecento, con le suonate raggruppate in quatriglie – cioè in suite di 4 pezzi – e l’uso della corda per disciplinare l’affluenza di ballerini paganti. Ma maggiori informazioni su questo appassionante mondo le trovate nella descrizione del video su Youtube.

Si tratta ancora di un tentativo, ma confido che avrà seguito… il risultato è stato comunque molto interessante. Ve lo giuro. Tra l’altro ho presentato io quella serata

E poi si vedrà

Da molti mesi questo blog pare disabitato. Io sono vivo, solo che i pensieri, quando trovano il tempo di costruirsi, li tengo per me.

Intanto l’inverno si fa spazio tra un autunno poco convinto e un Natale che ci coglierà di sorpresa, come sempre. Io mi fermo un attimo a pensare, dopo un periodo piuttosto frenetico che non mi ha lasciato molto riflettere sul passato e sul futuro. Faccio i conti e scopro che non è andato male questo anno, ma come al solito mi ritrovo in bilico su un baratro di incertezze.  Un anno fa avevo più paura, nonostante avessi da poco condiviso lo stesso palco con Nada, per una manciata di minuti che vi ripropongo (e che vi sia d’augurio): Ave Maria di Fabrizio De Andrè

La musica in tutte le sue forme (soprattutto quelle del ragionamento su di essa) mi ha regalato qualche soddisfazione e molte delusioni, ma conservo una certa fiducia nel futuro, cosa rara di questi tempi. Aspetto che escano le pubblicazioni a cui ho collaborato, provo a risistemare i tavernacustica, batto nuove frontiere della professionalità paramusicale, mi rilancio nelle serate da ballo, accantono il sogno delle mie canzoni, concludo l’esperienza intensa e non sempre appagante del Servizio civile. E poi si vedrà.

Auguri a tutti.

P.S. Vi rendo partecipi di un altro bel momento del concerto dedicato a La Buona Novella, condiviso con i Perturbazione: Tre madri

Viva il dottore (un anno dopo)

Estate, tempo di balli a palchetto.

Il primo luglio ricorre l’anniversario della mia laurea specialistica. Vorrei ricordare l’evento soprattutto per un motivo, e cioè il bel regalo che mi hanno fatto gli amici della Banda di Caprie e di Villar Focchiardo venendo a suonare alla discussione

Ebbene sì. Per chi non lo sapesse ho fatto delle ricerche in alcuni nuclei bandistici della Val di Susa, con l’intento di documentare quello che rimane della grande tradizione piemontese delle squadre da ballo (o quintèt, o musicant…), ovvero quegli organici bandistici ridotti che suonavano sui balli pubblici e nelle aie, improvvisando le parti di accompagnamento secondo regole condivise. Con piacevole sorpresa ho scoperto che questa tradizione musicale  si è qui solo riadattata e rinnovata. Insomma, ho trovato alcuni simpatici “anelli mancanti” tra la squadra da bal anni Trenta e il liscio moderno.

La sala lauree di Scienze della Formazione a Palazzo Nuovo è stata quindi invasa da una piccola delegazione di musicanti che con bossotuba, trombone, trombe e clarini hanno colorato la mia investitura… Potete ascoltarne l’esibizione qui: http://soundcloud.com/dariodeseppo/viva-il-dottore. Hanno avuto la bellissima idea di adattare un brano tradizionale delle feste di leva: il mio personale rito di passaggio non poteva essere sottolineato meglio!

Segnalo ancora, a proposito, due importanti appuntamenti che si svolgeranno domenica 10 luglio: al pomeriggio, a Riva presso Chieri, in occasione della recente riapertura del Museo del Paesaggio Sonoro, avrà luogo una “Gem Sescion” di musicanti da ballo, in cui si sperimenterà l’improvvisazione su temi prestabiliti di valzer, polche e mazurche – a guidare le danze saranno I musicanti di Riva presso Chieri; la stessa sera, a Caprie, in occasione della festa patronale e dei festeggiamenti per i 110 anni della banda, la squadra locale (I Feu e fiame) suonerà sul ballo (nel video potete vedere un sunto del 2009): quest’anno parte della serata sarà dedicata ad un primo tentativo di ricostruzione del vecchio ballo a quatriglie.

Le quatriglie rappresentano la tradizionale maniera di organizzare il ballo: 1 biglietto per una suite da 4 danze (liscio, brani brevissimi), al termine della quale i ballerini venivano letteralmente spinti fuori dal ballo a palchetto con una corda per far spazio ai nuovi. Un sistema a giri simile a quello delle giostre (e le strutture viaggianti piemontesi per il ballo, rotonde, le ricordano un pò). Ma se ne volete sapere di più potete fare due cose: leggere la mia noiosissima tesi Le bande e le squadre da ballo. I repertori tra  liscio e tradizione, o venire su a Caprie il 10… a presentare la serata sarà il sottoscritto!

Vite

Mi divincolo tra le varie anime che abitano il mio corpo, a dire il vero un po’ provato dalle allergie di stagione.

Sono il ragazzo tappabuchi della biblioteca, sono il ricercatore scalcinato in polverosi ripostigli di cianfrusaglie musicali, sono il musicante che accetta tutto pur di intascare un bicchiere di vino e qualche sorriso, sono il montatore video per il nuovo fantastico allestimento del Museo del Paesaggio Sonoro che presto vedrà la luce, sono lo scrutatore ai referendum per cui devi votare, sono contento che il vento stia cambiando direzione – da Sanremo a Pisapia -, sono il cantautore talmente indipendente che si ascolta solo lui, insomma sono io. Ma anche no.

Per vivere due o tre vite ci vorrebbero due o tre vite, diceva un amico che comunque ce la sta facendo in una sola, ma via, ci si prova… E si incontra la differenza tra il fare e l’essere.

Trovate qui un pò di luoghi e situazioni in cui potete incontrami a breve, in una qualche forma…

La mia vita in 130 date

Dario De Seppo - Fisa e chitarraCosa ho combinato nella mia vita musicale? Di importante sicuramente poco. In ogni caso ho cercato di ricostruirla in un elenco di date, il più preciso possibile. Da qualche anno stavo già annotando più o meno diligentemente gli eventi che mi vedevano in prima linea, tralasciando però cose che ritenevo meno degne. E chissà perchè, maledizione.

Con l’aiuto di vecchie agende sono riuscito ad aggiungere dati in maniera abbastanza precisa fino circa al 2004, scoprendo così che negli ultimi 6 anni ho fatto almeno 125 concerti ed esibizioni. A conti fatti non sono poi molti. Mancano all’appello, in quest’arco di tempo, sicuramente alcune date di liscio, e poi tutta la “carriera” da ballo degli esordi, dal 2000 al 2003 (e forse anche prima). Ricordo che quando facevo le prime serate con Giovanni andavo ancora al liceo, e per un anno abbiamo avuto  ingaggio fisso al circolo anziani Bonadies di Rivoli, un sabato sì e uno no.

Ma insomma. Ho pubblicato i risultati dell’importante ricerca su un’apposita pagina del blog.

Intanto mi sono iscritto ad Italiawave Band, importante concorso nazionale. Ho mandato come brani da far esaminare due perle della mia produzione artistica: l’evergreen Canzone (quasi) facile (cui potete visionare il videoclip), e la più o meno apprezzata quasi novità Beguine, dedicatissima ad un genere lisciarolo a me caro. la versione in questione è stata registrata in presa direttissima durante una prova, io pianoforte e voce, Marco Segreto contrabbasso.

Intanto attendo i risultati della YouTube Symphony Orchestra con trepidazione…e buona Epifania!