Passami quel cavo, no, quello…sì ok.
Ma Ciccio quando arriva?…Non ce la faremo mai a montare tutto in tempo. Sono nervosissimo, suoneremo da schifo…Ma no, dai, ci tranquillizzeremo sul primo brano…che cazzo fai!!…no quel microfono non và lì…
No, ragazzi, con sti cavi non ci facciamo un cazzo…
Bisogna andarli a prendere ad Alpignano.
Secondo giro. Non ce la faremo mai.
Vabbè nel frattempo, dai raccontaci…sei andato giù stamattina?
La lettera l’avevo scritta giorni fa. Non era nemmeno un granchè…insomma, cosa vuoi dire ad una ragazza con cui hai scambiato non più di qualche decina di parole, di cui un buon 70 per cento che andavano a completare frasi di circostanza quali “Ciao, come và” o “In bocca al lupo”, e che non vedi da circa un mese.
Cosa puoi dire?
Mah…io ho provato a scrivere con certo distacco, usando spesso la terza persona, facendo capire senza essere troppo esplicito. Non so quanto mi sia convenuto entrare a tal punto nella parte da chiamarla Riccia davvero, nella lettera, rivolgendomi a lei.
Non so.
Tanto non ce l’avrei mai fatta.
Ma ero proprio deciso, invece.
Sveglia alle 8 men’un quarto ieri mattina, per andare a Palazzo Nuovo, per consegnare una lettera ad una sconosciuta rompendole per la seconda volta le scatole prima di un esame importante che non riesce a passare.
Diciamo che ero sconfitto in partenza.
Ma deciso.
Auto, metro, bus. Palazzo Nuovo. Dislocazione appelli…dunque…Storia della Critica d’Arte…sesto piano…ma pensa te…
Ascensore..
Tum
Tutum
Tutum
Tutumtumtum
Tumtumtumtumtumtumtumtumtumtumtumtum
Niente, era il mio cuore.
Primo, secondo, terzo, quarto, quinto…sesto piano.
Respiro.
Si apre la porta.
Tum……..zzzzzzzzzzzzzzzzzzzz…..Subito lì. Neanche il tempo di capire. Si apre la porta dell’ascensore come un diradarsi di nuvole. Era lì, seduta per terra, con il libro in mano, gli occhiali, i ricci raccolti come a dire “Non sono io, se qualcuno vuole consegnarmi una lettera giri alla larga” e…alla sua destra un ragazzo, anche lui munito di fotocopie e libri e sorrisi e parole per lei, e lei per lui, e io anche tante parole per lei, ma sigillate in una lettera, nascosta nel portapenne, chiuso nello zaino, sistemato in fondo all’anima, all’angolo tra l’ultimo battito di cuore, e i cocci di un vaso quasi vuoto.
La guardo. Mi guarda, ma continua a parlare ripassare con l’oscuro studente indubbiamente simpatico e probabilmente bello. Faccio finta di niente. Lei ricambia.
Sparisco dietro l’angolo, come lince nella boscaglia mi infilo tra i numerosi candidati che otturavano lo stretto corridoio del sesto piano di Palazzo Nuovo, mai così saturo, come un’arteria in aria da trombosi, e senza alcun triciclo rosso ad allietarmi la giornata.
Cammino, sguardo teso verso il basso, avverto il prof. Prono entrare nel suo studio e altri studenti fare quello che li rende tali, ovvero studiare.
E io, con la mia lettera occultata mi fermo al primo autogrill del corridoio, “picchiettando un indù in latta su una scatola di thè”.
“Nel gioco avrei voluto dirle, senti io ti vorrei parlare”…avevo citato la canzone di Guccini nella lettera, e questo mi autorizzava ad entrare nel personaggio…
Mi fermo a pensare a cosa dire, e a cosa non fare.
Ormai ero lì.
Non potevo ritirarmi.
La cazzata era al novanta per cento del suo compimento…mancava la faccia tosta, solo quello.
Torno indietro.
Ripasso nella boscaglia, mi fermo ancora dietro l’angolo prima del posto dove sostavano la Riccia e il suo maledetto compagno di studio pre-esame, che nel mio piano non era stato per nulla previsto.
Tiro fuori l’arma…tre facciate di inchiostro blu, calligrafia indecente…miro al cuore.
Aspetta…non ce la faccio…ancora dieci minuti di sosta, forse di più, appoggiato al muro-bancone…
Vado?
Ancora un po’.
Vado?
Aspetta.
Vado?
Vai.
Tutututututututututmtmtumumtumtumtutmtutm
Niente, solo il mio cuore.
(Forse è il caso di farmi vedere da un cardiologo)
Inserisco la cassetta “Dire ovvietà”, prendo un respiro, vado in scena…
Ciao.
Ciao. (interrompendo con decisione il ripasso-chiacchiera con l’uomo-ostacolo imprevisto)
Esame? (Mah…tu che dici…)
Eh sì…guarda, stiamo confrontando i programmi e manca sempre qualcosa…blablabla…Tu, ti sei laureato?
No..fra qualche giorno…
In bocca al lupo.
Grazie, anche a te. Beh…ti lascio studiare…questa è per te…
….(faccia di lei: tra il sorpreso e il cosa vuole da me…anche se in realtà mi aspettavo una reazione più marcata)
Cos’è?
Una lettera. Ciao.
In meno di 5 millesimi di secondo sono sulle scale.
Scendo giù, credo lentamente, ma forse era una mia impressione (presente la puntata di Futurama in cui Fry beve tantissimi caffè e poi inizia a muoversi alla velocità della luce, ripresa nel film “Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti” dal personaggio di Scattino?)…Comqunue non capisco se sono le mie gambe a portarmi giù oppure se mi muovo grazie alle vibrazioni della mia muscolatura in tensione massima, come un cellulare che, vibrando, viaggia sopra un tavolo.
Ho fatto la cazzata.
Sono un folle. Probabilmente penserà che sono un maniaco che segue le ragazze per Palazzo Nuovo…e non mi sentirei nemmeno di darle torto…
Mi rifugio in biblioteca tra i pentimenti.
Bravo Dada.
Ieri sera a fine concerto, lo sconforto mi prende forte, da dire “basta suonare”. Troppo sbattimento per risultati infimi. E’ andata male. Malissimo. Sicuramente ho perso dei cavi, nel casino, e quelli costano.
Le voci non si sentivano.
Pure chi non se ne intende ha notato troppi errori.
Sono insoddisfatto.
Smonta tutto, ore di lavoro.
Ultimo sguardo al telefono.
Dà, avevi lasciato una traccia nella lettera, il tuo numero, con un ingenuo stratagemma, inserendolo in un discorso riportato…dì la verità, in fondo ci speravi che almeno ti mandasse un messaggio per ringraziarti, o che ne so…E invece niente.
Questa volta è proprio finita. Se dovessi mai rivederla, credo che la eviterei…non avrei il coraggio di guardarla ancora in faccia.
Addio (per sempre) Riccia del Giovedì.
Scusa per averti creata e distrutta. In fondo è stato anche divertente.
Buona fortuna.