La Riccia V – La lettera (ultimo capitolo)

Passami quel cavo, no, quello…sì ok.

Ma Ciccio quando arriva?…Non ce la faremo mai a montare tutto in tempo. Sono nervosissimo, suoneremo da schifo…Ma no, dai, ci tranquillizzeremo sul primo brano…che cazzo fai!!…no quel microfono non và lì…

No, ragazzi, con sti cavi non ci facciamo un cazzo…

Bisogna andarli a prendere ad Alpignano.

Secondo giro. Non ce la faremo mai.

 Vabbè nel frattempo, dai raccontaci…sei andato giù stamattina?

 

La lettera l’avevo scritta giorni fa. Non era nemmeno un granchè…insomma, cosa vuoi dire ad una ragazza con cui hai scambiato non più di qualche decina di parole, di cui un buon 70 per cento che andavano a completare frasi di circostanza quali “Ciao, come và” o “In bocca al lupo”, e che non vedi da circa un mese.

Cosa puoi dire?

Mah…io ho provato a scrivere con certo distacco, usando spesso la terza persona, facendo capire senza essere troppo esplicito. Non so quanto mi sia convenuto entrare a tal punto nella parte da chiamarla Riccia davvero, nella lettera, rivolgendomi a lei.

Non so.

Tanto non ce l’avrei mai fatta.

Ma ero proprio deciso, invece.

Sveglia alle 8 men’un quarto ieri mattina, per andare a Palazzo Nuovo, per consegnare una lettera ad una sconosciuta rompendole per la seconda volta le scatole prima di un esame importante che non riesce a passare.

Diciamo che ero sconfitto in partenza.

Ma deciso.

Auto, metro, bus. Palazzo Nuovo. Dislocazione appelli…dunque…Storia della Critica d’Arte…sesto piano…ma pensa te…

Ascensore..

 

Tum

Tutum

Tutum

Tutumtumtum

Tumtumtumtumtumtumtumtumtumtumtumtum

 

Niente, era il mio cuore.

 

Primo, secondo, terzo, quarto, quinto…sesto piano.

 

Respiro.

 

Si apre la porta.

 

Tum……..zzzzzzzzzzzzzzzzzzzz…..Subito lì. Neanche il tempo di capire. Si apre la porta dell’ascensore come un diradarsi di nuvole. Era lì, seduta per terra, con il libro in mano, gli occhiali, i ricci raccolti come a dire “Non sono io, se qualcuno vuole consegnarmi una lettera giri alla larga” e…alla sua destra un ragazzo, anche lui munito di fotocopie e libri e sorrisi e parole per lei, e lei per lui, e io anche tante parole per lei, ma sigillate in una lettera, nascosta nel portapenne, chiuso nello zaino, sistemato in fondo all’anima, all’angolo tra l’ultimo battito di cuore, e i cocci di un vaso quasi vuoto.

La guardo. Mi guarda, ma continua a parlare ripassare con l’oscuro studente indubbiamente simpatico e probabilmente bello. Faccio finta di niente. Lei ricambia.

Sparisco dietro l’angolo, come lince nella boscaglia mi infilo tra i numerosi candidati che otturavano lo stretto corridoio del sesto piano di Palazzo Nuovo, mai così saturo, come un’arteria in aria da trombosi, e senza alcun triciclo rosso ad allietarmi la giornata.

Cammino, sguardo teso verso il basso, avverto il prof. Prono entrare nel suo studio e altri studenti fare quello che li rende tali, ovvero studiare.

E io, con la mia lettera occultata mi fermo al primo autogrill del corridoio, “picchiettando un indù in latta su una scatola di thè”.

“Nel gioco avrei voluto dirle, senti io ti vorrei parlare”…avevo citato la canzone di Guccini  nella lettera, e questo mi autorizzava ad entrare nel personaggio…

Mi fermo a pensare a cosa dire, e a cosa non fare.

Ormai ero lì. 

Non potevo ritirarmi.

La cazzata era al novanta per cento del suo compimento…mancava la faccia tosta, solo quello.

Torno indietro.

Ripasso nella boscaglia, mi fermo ancora dietro l’angolo prima del posto dove sostavano la Riccia e il suo maledetto compagno di studio pre-esame, che nel mio piano non era stato per nulla previsto.

Tiro fuori l’arma…tre facciate di inchiostro blu, calligrafia indecente…miro al cuore.

Aspetta…non ce la faccio…ancora dieci minuti di sosta, forse di più, appoggiato al muro-bancone…

Vado?

Ancora un po’.

Vado?

Aspetta.

Vado?

Vai.

 

 

Tutututututututututmtmtumumtumtumtutmtutm

 

Niente, solo il mio cuore.

 

(Forse è il caso di farmi vedere da un cardiologo)

 

Inserisco la cassetta “Dire ovvietà”, prendo un respiro, vado in scena…

 

Ciao.

Ciao. (interrompendo con decisione il ripasso-chiacchiera con l’uomo-ostacolo imprevisto)

Esame? (Mah…tu che dici…)

Eh sì…guarda, stiamo confrontando i programmi e manca sempre qualcosa…blablabla…Tu, ti sei laureato?

No..fra qualche giorno…

In bocca al lupo.

Grazie, anche a te. Beh…ti lascio studiare…questa è per te…

 

….(faccia di lei: tra il sorpreso e il cosa vuole da me…anche se in realtà mi aspettavo una reazione più marcata)

 

Cos’è?

Una lettera. Ciao.

 

In meno di 5 millesimi di secondo sono sulle scale.

Scendo giù, credo lentamente, ma forse era una mia impressione (presente la puntata di Futurama in cui Fry beve tantissimi caffè e poi inizia a muoversi alla velocità della luce, ripresa nel film “Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti” dal personaggio di Scattino?)…Comqunue non capisco se sono le mie gambe a portarmi giù oppure se mi muovo grazie alle vibrazioni della mia muscolatura in tensione massima, come un cellulare che, vibrando, viaggia sopra un tavolo.

 

Ho fatto la cazzata.

 

Sono un folle. Probabilmente penserà che sono un maniaco che segue le ragazze per Palazzo Nuovo…e non mi sentirei nemmeno di darle torto…

Mi rifugio in biblioteca tra i pentimenti.

Bravo Dada.

 

Ieri sera a fine concerto, lo sconforto mi prende forte, da dire “basta suonare”. Troppo sbattimento per risultati infimi. E’ andata male. Malissimo. Sicuramente ho perso dei cavi, nel casino, e quelli costano.

Le voci non si sentivano.

Pure chi non se ne intende ha notato troppi errori.

Sono insoddisfatto.

Smonta tutto, ore di lavoro.

Ultimo sguardo al telefono.

Dà, avevi lasciato una traccia nella lettera, il tuo numero, con un ingenuo stratagemma, inserendolo in un discorso riportato…dì la verità, in fondo ci speravi che almeno ti mandasse un messaggio per ringraziarti, o che ne so…E invece niente.

 

Questa volta è proprio finita. Se dovessi mai rivederla, credo che la eviterei…non avrei il coraggio di guardarla ancora in faccia.

 

Addio (per sempre) Riccia del Giovedì.

Scusa per averti creata e distrutta. In fondo è stato anche divertente.

Buona fortuna.

 

 

I Poeti Sconfitti: i testi – La Riccia: le ipotesi.

So che molti sono in attesa di conoscere il finale della storia, ma la Riccia del Giovedì è scomparsa.

Ho tentato altre numerose incursioni nel magico mondo di Palazzo Nuovo, ma la mia costanza non è stata premiata. La Riccia è stata inghiottita dal tempo e dallo spazio.

Forse era solo una proiezione dei miei desideri, e la realtà ha voluto vendicarsi, nel modo più subdolo: strappandomela dagli occhi, nella più totale indifferenza, sua e del resto del mondo.

Avrei voluto almeno salutarla, dirle qualcosa, avere il suo numero…vabbè…

Ho ancora due misere possibilità: l’ultimo ricevimento del professor Prono, fra tre settimane, e qualche giorno dopo, il suo ultimo appello, quello dell’esame che non ha passato, per colpa mia, che le ho portato sfortuna.

Non so cosa dirle, ma ho tempo per pensarci.

Per ora dichiaro conclusa la vicenda, con un caffè solitario seguito al suo “devo studiare”.

Chissà chi è.

Magari le scriverò una lettera.

E poi non gliela darò.

Magari sì, tanto cosa ci perdo?

Magari ne rimarrebbe colpita…e…

Ma su, ragioniamo…quando mai si è sentito di una donna conquistata con una lettera!??!!…o con una poesia?!!…o con una canzone?…o con tutte queste cose assieme?

Dico, nella realtà…

Ma al massimo si farà due risate, e sarà inghiottita da qualche via che mi è precluso percorrere, in compagnia di un minuscolo ricordo di me.

Chissà perché ci piace così tanto essere ricordati?

Sarà perché non riusciamo ad accettare che siamo di passaggio, che abbiamo scritta la parola “Fine” nel nostro DNA, e prima o poi arriva. Che ci infastidisce di entrare e uscire nella mente delle persone, e invece vi vorremmo sostare per sempre…

Ciao, sono Dario detto DeSeppo, e forse non vi ricorderete di me per alcuni brani quali Olio, CioccoLatina, 600 parole, Canzone (quasi) facile…ma di certo non vi ricorderete di me per brani i cui testi vado ora a trascrivere qui sotto, ovvero le prime produzioni collettive originali con i Poeti Sconfitti (…è così che ci chiamiamo ora?…tra l’altro, le foto del concerto ci sono nella sezione all’uopo destinata)

 

Lune Batacchio (già la conoscete: quando il bierkeller ispira…la musica è molto evocativa, e il testo è un recitativo)

(musica Panetta, testo DeSeppo-Panetta)

 

La luna è un batacchio.

Deglutito dall’esofago della

strada viaggio verso il non mi và.

La terra è febbre che

me la sento addosso e i tuoi

palliativi sono congelatori

islandesi, che ci metto bottiglie vuote.

Sterzo verso il passavo di qua,

ma le luci sono muti gradini

di fumo, che tanto lo avresti già intuito.

Tu, viola vitigno, vanto del cigno,

riflesso ondulato di colline a terrazza,

tu, che ti devo un caffè sussurrato,

sai dove voglio arrivare, vero?

 

 

Poeta sconfitto (inserito in un brano progfolk strumentale composto di 4 parti che non hanno nulla in comune l’una con l’altra)

(musica DeSeppo-Segreto-Panetta, testo DeSeppo-Segreto)

 

Poeta sconfitto, prestami orecchio

scrivimi un testo, fallo al più presto

lasciami uscire da questa prigione

fatta di note, metrica e suoni.

 

Credi che il tempo ti sia fratello

ma non ti accorgi delle illusioni

chiuse tra i fogli, finestre di ieri

di vuote canzoni

passano i treni i volti i minuti

passano i versi e restano muti

 

 

Aspettando il Segreto (scritto mentre si attendeva Marco che aveva assicurato: “accompagno Francesca e torno”)

(musica e testo di Panetta-DeSeppo)

 

Nel frattempo che aspettiamo il Segreto

Uno si gratta la barba

L’altro usa la chitarra come un piano;

il Segreto non arriverà, perché loro lo sanno.

Uno domanda cosa aspettiamo,

l’altro risponde che arrivi il Segreto

che non arriverà.

Passa una macchina, fa un cenno,

non è lui.

Ma lui chi? Il Segreto.

Uno beve nervosamente l’attesa

L’altro nervoso attende.

Oste nervoso, versane un altro,

e mettilo sul suo conto.

Il conto di chi?

Del Segreto.

 

C’è un messaggio per noi

Che chiarisce l’attesa.

Segreto, sei un pezzo di strofa.

C’è un conto in sospeso

Ed è inutile che mi guardi così.

Caso mai, parlane con l’oste.

…Ma dì a tuo padre

che lavorerò per lui.

 

Ministri della difesa (sull’aria della canzone Riccia del Giovedì, già da me scopiazzata da Yuppies di Barbarossa: basso impegno sociale…risale a quando ancora non si sapva chi dovesse essere il nuovo ministro della difesa)

(Musica DeSeppo-Barbarossa; testo Gilli-Tomassetti-Panetta-DeSeppo)

 

Se ci fosse Mastella come ministro della difesa,

come ministro del mezzogiorno potrebbe esserci Calderoli;

 

Se ci fosse Calderoli come ministro della difesa

saremmo già in guerra con Gheddafi e Saddam Hussein;

 

Se ci fosse Saddam Hussein come ministro della difesa,

avremmo gli Americani a bombardarci tutto il dì;

 

Ci fossero gli Americani come ministro della difesa,

Avremmo terroristi che ci saltano sul metrò;

 

Ci fossero i terroristi come ministro della difesa,

si piazzerebbero carriarmati israeliani sul porton;

 

Ci fossero gli Israeliani come ministro della difesa,

discuteremmo con Palestinesi imbottiti di tritol;

 

Ci fossero i Palestinesi come ministro della difesa,

ci accuserebbero tutti di essere culo e camicia coi Talebani;

 

Ci fossero i Talebani come ministro della difesa,

bombarderemmo i buddisti a partire dalla loro iconografia;

 

Ci fossero i buddhisti come ministro della difesa,

saremmo in pace col mondo ma ci invaderebbe Mao Tze Tung;

 

Ci fosse Mao Tze Tung come ministro della difesa,

avremmo qualche problema con Coreani e Giapponesi;

 

Ci fossero i Giapponesi come ministro della difesa,

al posto della bombe tireremmo microchips;

 

Ci fossero i microchips come ministro della difesa;

li metteremmo nei palloni per vedere se era gol;

 

[stacco: 90°minuto]

 

Ci fossero i gol fantasma come ministro della difesa,

Interverrebbe Luciano Moggi per confermare che era gol;

 

Ci fosse Luciano Moggi come ministro della difesa,

Vinceremmo tutte le guerre corrompendo Kofi Annan;

 

Ci fosse Kofi Annan come ministro della difesa,

Al posto dei soldati combatterebbero i caschi blu;

 

Ci fossero i caschi blu come ministro della difesa,

Se andassimo in guerra sembreremmo Playmobils;

 

Ci fossero i Playmobils come ministro della difesa,

I Lego si adirerebbero, attaccandoci in gran segreto;

 

Ci fosse Marco Segreto come ministro della difesa,

tornerebbero gli anni ’70 e si suonerebbe il prog;

 

[stacco: Impressioni di Settembre]

 

(Quante gocce di rugiada intorno a me)

 

Se ci fossi io come ministro della difesa,

Avrei qualcosa di meglio da fare che scriver canzoni che non ascolta nessuno;

 

Se non ci fosse nessuno come ministro della difesa,

Non ci sarebbe più bisogno di ministeri della difesa…

Riccia IV & ConcerTirNaNog

Gli applausi.

Voi non vi rendete conto, dico voi che non suonate, quanto sia bello.

Penso di aver fatto la mia prima apparizione in pubblico una decina di anni fa…forse di più…ho una foto che sono davvero piccolo e suono la Eko di mio padre nel teatrino della parrocchia…ma non sono mai stato abituato a prendere applausi.

Sarà che non sono bravo, che non l’ho mai fatto professionalmente.

Sarà che il liscio non paga sotto questo punto di vista, che la gente vuol ballare e non importa molto di chi sta lassù.

Di appalausi non ne prendo molti.

Ieri ho suonato con i TirNaNog, che presto cambieranno nome, come auspica anche il sindaco di Rivoli, nostro grande fan.

Che bella giornata. Gli applausi…

Non c’erano solo i soliti amici, che ringrazio come sempre per la loro pazienza e costanza, ma era anche pieno di sconosciuti che si fermavano.

Si fermavano, interrompevano le loro passeggiate domenicali, perché sentivano della musica, perché erano attirati da una musica. Erano attirati da noi. Anche De Andrè e De Gregori possono piacere al pubblico, sono popolari anche loro, anche se molti non lo riconoscono…e ieri ne abbiamo avuto conferma.

Noi ci siamo divertiti.

Il cappello bianco da narcotrafficante colombiano, che fa molto Venditti anni ’90, De Gregori anni ’80, Dalla “attenti al lupo”, o jazzista anni 40, mi ha portato fortuna. Il mio coefficiente di presenza scenica pareva aumentato. Mi sono quasi sentito insidiare ad Ale il suo terzo posto nella classifica di “ficosità” del gruppo…no, eh?

E così, la gente partecipava.

Il sindaco di Rivoli, uno dei nostri più accaniti fans, come forse vi  ho già detto, ma sapete, ormai, che a me piace ripetere le cose, soprattutto se sono inutili e…ok, mi fermo…dicevo, il sindaco è salito sul palco per chiederci il nostro nome.

Tra l’imbarazzo generale ho dovuto ripeterlo 4  volte, e spiegarne il significato…Tir Na NOg, Terra di giovinezza in gaelico…uff…forse è ora di cambiarlo…”chiamatevi La Meglio Gioventù”, ha proposto lui. E l’idea non mi sembra del tutto assurda.

“Vorrei abbonarmi alla sua rivista”, ho risposto.

Intanto Ale mi diceva piano che c’era Mel, e la vedevo e la salutavo da lontano, e il sindaco parlava, e io sul palco per un momento mi smarrivo, in un fiume tortuoso, e in un attimo tornavo che io ero accecato da Mel, ti ricordi Dario? Non ci parli da 4 o 5 anni, ed eravate così amici, tutto a puttane, (ieri mancava solo Giada e la piazza sarebbe stata al limite del saturo), mi ricordavo, e tra il mio sguardo e Mel, che dice a mio padre “finalmente ce l’ha fatta”, sì Mel, ce l’ho fatta, era il mio sogno, suonare nella piazza della mia città, ce l’ho fatta, in piazza, mentre la guardavo, in mezzo, c’era la ragazza che non voglio finisca così anche con lei, non voglio, CioccoLatina, che finisca così,  e mi accorgo che questi riccioli cioccolatinogeni, non ricci, proprio riccioli, quelli fluidi, niente li può ancora sostituire, nemmeno quelli della Riccia del Giovedì, anche se mi convinco a forza, tanto da riuscirci, di essere sul ciglio di un’altra via, ad annotare la vita di un’altra sconosciuta, ma sempre senza partecipare…a proposito…

 

C’era una giornata da riempire, martedì scorso.

Tra le ultime prove prima del concerto di ieri, tra gli ultimi passi di una tesi che andavo a concludere, ho inventato la scusa di dover andare all’università per controllare delle citazioni su dei fantastici libri che avrei potuto consultare solo lì.

Nelle 5 ore che ho passato in zona Palazzo nuovo, ho fatto svariati incontri. Ho pranzato con Barbara, ho chiacchierato con una mia cugina che non vedo spesso, ho riempito le lacune con i soliti Gioino e Baffo, onnipresenti nei dintorni, ho controllato molte ricce, sperando.

Stavo quasi per tornare a casa.

Dai gradini di via Sant’Ottavio, dove chiacchieravo coi suddetti Giò e Baffo, ho una visione in golfino azzurro, epifania spettacolare di indecisione lontana, inconfondibile esplosione di trucioli neri. La Riccia.

“E’ lei, devo andare, ciao.”

La inseguo per via Verdi, lei entra in una fotocopisteria, cosa faccio?

Entro?

No.

Che dico?

Non ho niente da fotocopiare…

Allora…

Dunque, studio la situazione.

Bravo Dada, guarda quelle panchine…perfette, io mi siedo lì, e aspetto che esca…

Dopo circa mezzora, col cellulare nella mano destra, per fingere al momento opportuno di essermi seduto lì per caso, per mandare un sms, freddo assurdo per essere maggio, brezza solleticosa che non ti lascia tregua, brrrr, ma non è possibile, è primavera…che ore sono? Maledizione, perché non esce, non posso stare qui all’infinito, uffa, che freddo…zzzzzzzzzzzzzzzzzzzz…eccola.

– Ciao.

– Buongiorno principessa!!! …avrei voluto dire, ma non ho avuto il coraggio…

Ciao, ho detto.

-…Ma…ci incontriamo dappertutto!

– Se mi lasci il numero possiamo incontrarci anche meno casualmente…ho pensato, e non ho detto.

Dopo avermi mostrato i 34 chilogrammi di libri che aveva appena finito di fotocopiare, mi dice che deve andare a restituirli in biblioteca, e poi a studiare.

– Che fai invece tu, qui?

– Mah… girovagavo…mi piace girare da queste parti

– Ah sì?…io inizio a odiare questo posto…voglio il mare!

Maledizione, oggi non ne azzecco una, pensavo…

– Ti và un caffè?

– No, devo andare in biblioteca, e poi a studiare.

Eh già, a studiare…dov’è già che ho sentito questa frase? …ah sì, in una canzone! In una canzone mia…vabbè, anche in una di Vasco…ma che c’entra…è una citazione…anzi in 600 parole c’è pure una citazione diretta di Non l’hai mica capito…"Uh ti voglio bene uh ti …"…ufff …ma cosa parlo con voi…sempre lì a criticarmi, che copio le canzoni…

A proposito, ho scoperto che La Riccia del giovedì è identica a Yuppies di Barbarossa…e il Panetta me la sta già parodizzando con la storia del ministro della difesa (vedi commenti a intervento precendente…)…e io lo sto aiutando…

Arrivo a parodizzarmi da me…d’altronde ho toccato il fondo, con ‘sta storia…non posso mettermi pedinare una ragazza…tanto più che è palese che non ci sia trippa per matti.

Non le ho nemmeno chiesto il numero, non le ho detto che ieri avremmo suonato…ho solo salutato con un “ci vediamo venerdì”, che Prono riceveva di venerdì, ma tanto sapevo che venerdì non l’avrei vista.

Venerdì non l’ho vista.

Avevo perfino preparato un cd per lei…canzoni mie…sì, per tirarmela, Giada mi ha detto che devo valorizzarmi di più se voglio piacere alle donne.

E lei non è venuta.

Ho regalato il cd a una mia compagna di università che non vedevo da un bel po’ e che ho incontrato lì, e che mi ha fatto notare che ho delle lentiggini sul naso, e io non lo sapevo, e tutto questo è molto inquietante, dal momento che sto leggendo Uno, nessuno e centomila di Pirandello, le cui speculazioni filosofiche hanno inizio proprio dal naso del protagonista, che non si era mai accorto di averlo storto, e quando sua moglie glielo fa notare, lui inizia a pensare che gli altri lo vedono diversamente da come lui si vede, e…Comunque ho pranzato con lei e altre amiche sue…ora conosco molti particolari incredibili della vita di una di loro, che ha pensato di raccontare proprio venerdì, e io intanto mi ripetevo, Dario, sei fortunato ad avere una vita così piatta…ti preoccupi della Riccia, e i tuoi problemi sono incredibilmente nulla al confronto di quelli di questa ragazza bionda di 28 anni.

Vai a casa, anzi senti Marco per accompagnarlo da Merula a comprare l’ampli del basso…chè domenica c’è il concerto in piazza, e lascia perdere ‘sta Riccia…

 

Ah! Giusto! Il concerto in piazza! Dicevo…un attimo, un attimo è durato tutto questo gioco di linee melodiche di sguardi tra me e il passato, che mancava solo Giada, perché non poteva venire, e se fosse venuta sarebbe stato meglio perchè ha avuto un piccolissimo incidente in moto, niente di grave, ma povera piccola…e poi di nuovo il palco con gli strumenti, il sindaco che scende, lo ringrazio, vuole per forza i bis, noi non li abbiamo preparati, ma c’è gente, vogliono sentirci suonare, io ho voglia di suonare, suoniamo.

Creuza de mà, in un coro a cappella che non mi sarei aspettato.

Bella ciao, classica.

Basta, adesso faccio una canzone mia.

CioccoLatina. La dedico ai riccioli castani lì davanti, ma non lo dico, lei tanto lo sa. E come ammetto nella canzone stessa, non riesco nemmeno a guardarla negli occhi. Forse un attimo.

Non riesco ancora.

Che bella giornata. Il concerto è andato bene. L’UomoPerfetto mi passerà le foto, le sceglierò e le meritevoli finiranno sull’apposita sezione di questo blog.

 

Stamattina, in comune, ho consegnato il borderò SIAE, e ho ricevuto complimenti e auguri per la mia “carriera”…pensavano che fossi bravo, che fosse il mio mestiere o che almeno stessi facendo il possibile affinché lo diventasse.

Ma torniamo sulla terra.

E’ la stessa storia della Riccia.

Ho puntato a qualcosa che so già che non avrò mai, perché è troppo, perché non lo merito, perché è la realtà.

 

Gli applausi si spengono e la gente si dirada. Torno ad essere nessuno, mentre passeggio per una Rivoli gremita di gente, confuso nel mondo indistinto e tiepido delle sette di sera di una domenica di maggio qualsiasi.

 

Questa vita ci scorre davanti

Sarà il momento di salirci su

Riccia del giovedì, addio,

questo bus* mi pare il mio…

 

  

 

 

*Panetta propone di sostituire la parola bus con “trenino”, e di iniziare il video della canzone con la Riccia che mi saluta: “ah, devo andare, questo è il mio!”…passa un trenino-samba e vi si attacca…

La Riccia (terzo parto), i TirNaNOg e le pulizie di primavera

Il fatto è che era mercoledì.

Ieri era mercoledì.

Oggi è giovedì.

Quindi ieri…sì…ieri era proprio mercoledì.

E cosa ci faceva la Riccia del Giovedì, di mercoledì, davanti a Palazzo Nuovo?

Doveva studiare, mi ha detto.

Mi sembra un buon motivo.

Resta il fatto che vedere la Riccia del Giovedì di mercoledì è un po’ come vedere la Riccia con i capelli stirati, come per altro ha ipotizzato qualcuno tra gli insoliti commenti del precedente capitolo di questo assurdo racconto, che ancora non riesco bene a distinguere quanto ci sia di vero e quanto di inventato, se i personaggi esistano o se siano solo parti della mia fantasia (dove potete intendere la parola “parti” nel senso che preferite), esattamente come raccontava Paolo Rossi ieri in aula magna a Palazzo Nuovo: noi attori, diceva, a volte raccontiamo talmente tante storie che a un certo punto non distinguiamo più se certe cose le abbiamo vissute davvero noi oppure le abbiamo solo interpretate. Non sono un attore e racconto poche storie…ma la mia mente è portata a confondere realtà e finzione.

Ah! Ecco cosa ci facevo a Palazzo Nuovo, io, ieri, mercoledì…

Ero andato a sentire questa sorta di conferenzaintervista di Paolo Rossi.

Diciamo la verità, un po’ ci speravo di incontrare la Riccia. Dopotutto c’erano dalle 500 alle 600 persone…la probabilità era alta.

La cosa strana è che l’ho incontrata fuori, di mercoledì, e non era assolutamente al corrente di questo evento. Di Paolo Rossi, dico, non del fatto che fosse mercoledì è che io l’avessi incontrata…bah lasciamo stare…

Quindi posso asserire che si trattasse di pura “casualità”.

Era girata di schiena, pantaloni neri, maglia nera, esplosione scura di trucioli crespi.

Come sono solito fare da un po’ di tempo a questa parte, ogni volta che vedo una ragazza dai capelli ricci di schiena, mi fermo, prendo un respiro, controllo la tipologia di capelli (i riccioli possono essere di varie qualità), se corrisponde al genere desiderato, con circospezione rivedo la traiettoria della mia andatura (se è il caso, combinandola con la sua), per trovarmi nella posizione adeguata a riconoscerne il viso.

Non credevo funzionasse mai.

Ieri, mercoledì, ha funzionato.

Era lei.

Il gesto automatico della mia testa, che ha portato i miei occhi dal porfido di via Sant’Ottavio sulla sua schiena e poi sui suoi capelli (giuro, senza soffermarsi prima su altri particolari che di solito noto in prima instanza), ho ritenuto fosse stato guidato da qualche organo sensoriale alternativo.

Rivedo la traiettoria, ovvero inchiodo, faccio qualche passo indietro, le vedo il viso. È la Riccia del Giovedì! Ma oggi è mercoledì! E ora cosa faccio? Fermo. Sta parlando con una ragazza e con un ragazzo. Non vado a romperle le scatole come l’altra volta. Aspetta un attimo. Sta salutando il tipo. Viene verso di me. Non m’ha visto. Ovvio. Riparto. Incrocio la sua traiettoria…

Ciao.

Mi sorride. Beh, mi sorride sempre.

Come sei variopinto! …Variopinto…ah la maglia…un po’ anni ’70…Sono qui per Paolo Rossi…

Ah sì?…io devo studiare.

Ah…ma poi l’esame…com’è andato? (Sei idiota? Deficiente! Fermati!… mi ripetevo mentre le facevo quella stupida domanda…ti ha appena detto che sta andando a studiare…e quello doveva essere il suo ultimo esame…è chiaro che non l’ha passato!!!!!)

Lasciamo stare…di merda…

Ahia.

Ah…Prono ha cambiato gli orari…la prossima settimana riceve venerdì.

Uffa…

Evidentemente il fatto di dover materializzarsi di venerdì la infastidiva un po’…insomma, vorrei vedere!

Allora ci vediamo venerdì. Ok, ciao.

 

Mah. Non ci giurerei.

 

Se non ci fosse stata l’amica l’avrei invitata per un caffè. Il caffè che le devo…O forse non avrei avuto il coraggio. Ma tanto era già in compagnia e stava andando a studiare.

La prossima volta devo avere il suo numero, altrimenti…Addio, Riccia del Giovedì.

 

…E finirai nell’oblio di una canzone

che nessuno conoscerà

Farai la fine dei giocattoli il giorno dopo il compleanno

Viaggerai una delle infinite vie che mi sono precluse…

 

Ho praticamente finito la tesi, mi mancano l’introduzione e la conclusione e presto mi mancheranno quei giovedì giocati sul filo di un orologio, tra i muri stretti di un corridoio corrosivo, tra qualche desiderio di superficie e sei tonnellate di ricordi lasciati a macerare nella soffitta del mio cuore impolverato, che ho deciso di fare pulizie di primavera, e lasciare almeno un po’ di posto, non si sa mai, che qualcuno voglia venire a fargli visita.

Sono tre anni che lo uso come deposito, e ci entro solo io.

 

Quindi finisco la tesi e finisco i giovedì e inizio finalmente ad ingranare con quel gruppo, ex Be-folk, che provvisoriamente si chiama Tir Na Nog.

Dico provvisoriamente, perché quando sono andato in Comune per concordare il concerto che terremo domenica 14 maggio alle 16.00 circa in Piazza Martiri della Libertà (messaggio promozionale), la segretaria mi ha chiesto come ci chiamavamo…e io ho detto il primo nome che mi è passato per la testa. Tir Na Nog. Fra la generale perplessità, ho provato a spiegare che si scrive come si pronuncia, ma poi sono stato costretto a doverlo scrivere di mio pugno, perché non era assolutamente chiaro.

Il nome di un gruppo deve potersi ricordare facilmente.

Chi vai a sentire? I…mmm….i…tri…no …come cazzo…i cosi…tartagon…no aspè—uffa…tirta…ah…niente…boh…andiamo a prenderci una birra, và….forse è meglio.

E poi qualcuno mi ha detto che è brutto, qualcuno dice che se usiamo un nome in gaelico dovremmo suonare solo folk irlandese, qualcuno che potrebbe essere il nome di un gruppo gothic metal…

Domenica 14 saremo Tir Na Nog, la prossima volta, chissà…magari davvero, cambieremo nome ad ogni concerto, o magari anche all’interno di una stessa serata, facendoci anche da gruppo-spalla e da guest-stars…

Addio, Riccia del Giovedì (“Oggi” capitolo 2, vedi intervento del 6 aprile)

 

Il fatto è che due settimane fa, la Riccia del Giovedì non arrivava.

Il ragazzo davanti all’ufficio del Prof. Prono, al sesto piano di Palazzo nuovo, quello stretto stretto, il corridoio, non il palazzo, voleva, anzi doveva vederla.

Ma la Riccia non si vedeva.

E la coda dal professore era straordinariamente rada. Il ragazzo faceva passare gli altri, diceva che doveva rivedere gli appunti…scusa banale: tanto ormai il capitolo della tesi era stampato, avrebbe potuto rivederlo quante volte voleva, ma non avrebbe potuto cambiare niente.

“Devo rivedere gli appunti…passa pure”.

Seduto per terra, i fogli in mano, l’orologio in alto.

La riccia non si vede.

L’orologio in alto, i fogli confusi, l’orologio sul polso, la Riccia non arriva, l’orologio, spunta una figura, non è lei, l’orologio in alto, già le due e venti, i fogli, leggi, ragazzo, chè ti distrai, un’altra figura da dietro l’angolo, non è lei, l’orologio, già le due e ventuno, entra l’ultimo in coda, tu seduto per terra, l’orologio, i fogli, speriamo ci metta tanto questo qui, l’orologio in alto, i fogli, maledizione, l’orologio, i fogli…

Eccola.

Straordinariamente bella, gli occhiali eleganti, i capelli ordinati nella loro anarchia naturale.

Ciao, disse lui. Ciao, lei.

Esce l’ultimo, tocca a te, ragazzo.

La tesi và bene, il professore lo lascia uscire subito, ed entra lei.

“Ti aspetto”.

Anche lei, subito fuori.

Lei fa per salutarlo.

Lui la incalza.

“Hai fretta? Ti và un caffè?”.

La Riccia accetta volentieri, chè ancora quel giorno caffè non ne aveva presi.

Il bar è deserto, solo loro due.

Parlano, tranquilli, sono entrambi timidi, ma le domande si fanno avanti. E così, tra i vari “cosa fai”, e “dove abiti” passano tre quarti d’ora.

Il ragazzo sta bene.

La ragazza non lo so…io narro dal punto di vista del ragazzo…cazzo volete…

 

 

Ho riletto. I tempi dei verbi sono a puttane. Vabbè, non è mica un tema…

 

Giovedì scorso,invece,  il ragazzo sapeva che non l’avrebbe vista. Lei avrebbe dovuto studiare per un esame, e quindi avrebbe accantonato la tesi per un po’. Ma magari…non è venuta…ed è inutile che la cerchi per tutte le aule studio dell’università fingendo di avere cose da studiare…non c’è.

 

Ieri.

Ieri il ragazzo era sicuro di sé.

Insomma, il sito degli appelli era chiaro. Esame di Storia della critica d’arte alle 9.30 in aula 14, primo piano di Palazzo Nuovo.

Bene. Alle 10 il ragazzo è lì.

Passare davanti all’aula con il cuore che smarmitta come un Apecar, ma senza dare nell’occhio…c’è. E’ lì dentro che studia. A pochi passi da te.

Via…oddio, cosa faccio…

Ripasso.

Niente, studia.

Ripasso. Alza lo sguardo. Ciao. Riabbassa lo sguardo. Studia.

Povero ragazzo. E adesso che fa?

Via. Scappa. Tornerà più tardi.

 

Più tardi.

Passo. Niente. Passo. Niente. Ripasso. Ripassa (nel senso che studia). Ripasso (nel senso che passa di nuovo). Ripassa.

Entra, ragazzo, è il tuo momento. Come la pubblicità…quella che il tipo segue la tipa giù dal pullman…sì, tu entra.

Il ragazzo entra. Ciao. Lei intenta ad ascoltare gli altri esaminati, non se accorge nemmeno…”ah, ciao…che ci fai qui?”

“Beh…passavo…ehm, passavo di qua…e ti ho vista…così…boh…come …và?”

“Male, non so niente”…Andava male…dai ragazzo, si vede che non è contenta di vederti…lasciala stare.

“Magari mi siedo”.

“Scusa, ma…non so niente…andrà male…”

La ragazza è tesa.

Il ragazzo è imbarazzato…che si fa?

Lei: “scusa, da qui non sento niente, mi avvicino…ciao.”

Lui: “ok…ciao…ci vv..vediamo…ma fate una pausa pranzo?”

 

Niente pausa.

 

Il ragazzo pranza con l’amico recuperato in biblioteca…magari passo dopo…ed era troppo tardi.

 

Probabilmente non si vedranno mai più: il professore aveva cambiato gli orari di ricevimento, e lei, che ieri pomeriggio, causa esame,  non è passata dall’ufficio del sesto piano di Palazzo Nuovo, corridoio stretto, niente triciclo…lei non lo saprà, degli orari cambiati. E il professore tra tre settimane vola all’estero, e il ragazzo finirà di consegnare pezzi di tesi sul ruolo della musica per la costruzione di un cinema popolare italiano degli anni ’50.

Probabilmente non si incontreranno mai più.

 

A lui: sarà stato forse utile a dimenticare, ad esercitarsi, a distrarsi, a scrivere qualcosa tipo una specie di canzone, ad aver voglia di ritentare.

A lei:…

 

Addio, Riccia del Giovedì…

 

neanche il tempo mi hai dato

di starci male almeno un po’…

 

(e comunque ti devo un caffè)

 

…..zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz……..(il bordone)

Oggi (Il bordone, doppi ricci, Addio Istituto, suonerò bene e altre futilità)

Oggi. (Ce la farò?)

Oggi quel bordone, che l’infinita ghironda di malinconia sottoponeva da tempo alle melodie generiche della mia anima inquieta, si è chetato per qualche ora.

Era lì.

Suonava, basso, continuo. Da mesi. Poi è abitudine, e non te ne accorgi più. Tranne che quando tutto il resto è zitto. Quando tutto il resto è zitto, e mi rendo conto di aver già scritto questa frase, ma per chi ancora non l’avesse capito amo ripetere le cose, soprattutto se sono inutili, e amo ricamarci sopra altri merletti di parole, altrettanto inutili, o che magari, a ben vedere ricavano la loro utilità, la loro ragion d’essere proprio dal fatto stesso di non averne una concreta, e amo infine perdere il filo del discorso, tra le righe affamate di questo foglio che foglio non è più da anni, ma un’inanimata sequenza di bit bit bit bit bit bit bit…e a proposito di beat, pensate che bello sarebbe un batterista per i be-folk, che sarebbero un pò più be e meno folk, ma magari più appetibili alle orecchie dei giovani, quando tutto questo è zitto, e per fortuna ora non lo è, allora il bordone lo senti eccome. Ti buca la testa.

Oggi.

Non so come, per qualche ora quel bicordo a intervallo di quinta (sì, con la B, non è un orrore di stanca), che non si capirà mai se è maggiore o minore, ma io l’ho sempre sentito minore, non s’è udito.

Dov’è? Cos’è successo? Manca qualcosa. Le note acute cinguettano libere, manca qualcosa…ecco! Manca il bordone di malinconia!

E adesso come faccio.

Torino, Palazzo delleFacoltà umanistiche.

Quanta gente. Quante belle ragazze…madonna…vedo passeggiare gli ormoni in via Po’…guarda come saltellano!

Sesto piano, davanti all’ufficio del Prof. Franco Prono (quello che se cerchi informazioni su internet, Google ti chiede “forse stavi cercando Franco Porno?”)

La vedo arrivare che si siede davanti a me, come ogni giovedì.

Il corridoio è stretto, al sesto piano di Palazzo Nuovo. E’ stretto anche al secondo e al quarto, e anche al quinto, e ugualmente stretto al terzo. Al primo no. Ma al sesto sembra più stretto di tutti gli altri. Forse sarà l’influenza del Dipartimento DAMS, ma ogni volta che entro nel corridoio del sesto piano mi immagino di trovarci Stanley Kubrik su un triciclo rosso che fa avanti e indietro. Impossibile, chiaramente. Non tanto perché Kubrik è morto quanto per il fatto che una logica di memoria cinematografica non ti lascerebbe altra scelta che avercelo sempre davanti, questo triciclo, e tu puoi solo seguirlo, ad un altezza di trenta centimetri, e andando più lentamente di lui. Ora, questo è impossibile, in quanto se io sto seguendo il triciclo, tu che cammini in direzione opposta alla mia, il triciclo devi vedertelo arrivare incontro. Non si può. Ragionando per assurdo, l’evento è impossibile che si verifichi, che poi non ho mai capito quanto il ragionamento per assurdo abbia di matematico e quanto di filosofico. Ma in fin dei conti il Liceo scientifico mi ha insegnato questo: che esistono la matematica nella filosofia e la filosofia della matematica.

Dicevo.

Le bambine dilaniate dall’accetta erano proprio…ma che cazzo dico!

La vedo arrivare che si siede davanti a me, come ogni giovedì tristemente privo di triciclo, ma con lo zaino zeppo di soddisfazione e di parole utili alla mia laurea in avvicinamento, e a tutti quelli che un giorno vorranno leggere del ruolo della musica per la costruzione di un cinema popolare italiano negli anni ’50.

Davanti a me.

Il fatto che i suoi capelli siano ricci e castani non vuol dire quasi niente.

Gli occhiali li porta con eleganza. E gli occhiali portati con eleganza mi hanno sempre attirato, forse per un problema di solidarietà verso chi si trova nelle mie stesse condizioni oculistiche.

Giovedì scorso le ho strappato il nome.

Il giovedì precedente due saluti e qualche parola.

Il giovedì ancora prima un saluto.

Di questa sconosciuta con gli occhiali mi piace la timidezza.

Il verbo strappare è usato dall’autore come metafora della difficoltà di estrapolare concetti dal cavo orale della protagonista. Come erbaccia. Sei perfetta da zitta. Perché devo per forza farti parlare? Io, poi, che fino a qualche tempo fa non avevo il coraggio di guardare una donna negli occhi…come faccio a farti parlare?? Perché voglio sentirle la voce.

La voce è importante.

La voce è il suono della nostra anima. La voce è lo strumento musicale che la Natura ha donato all’uomo per cantare, ragionare, scambiare. Come un’ottima autoradio di serie, che nessuno ce la può rubare.

Voglio sentirla parlare.

Ce l’ha anche lei la voce.

E’ timida, sottile come un filo di seta.

Sorride. Quando sorride gli occhi si rimpiccioliscono e ne rimangono due vicoli neri tra le strade del viso, e i denti si scoprono “ci siamo anche noi”, e non credo abbia delle lentiggini. Ma le starebbero bene. Forse le ha.

Oggi ho fatto poca coda dal professore.

Non avrei preso il bus se non avessi notato che alla fermata una roba marrone poteva ricordare da lontano dei capelli ricci castani, non importa di chi.

Era ancora lei. Non si è accorta di me finchè non l’ho salutata di nuovo.

Mah…và a Porta Susa? Ok, lo prendo anch’io. Se mi avesse risposto che non ci andava? L’avrei preso lo stesso? Non credo. Ma lascio aperta la questione.

Non parlavo con una ragazza sconosciuta da un po’.E’ sempre bello.

La tesi, la stazione di Riso Amaro, dove abiti, sei l’unico che usa la metropolitana, e altre futilità.

Ciao, ci vediamo giovedì.

La metropolitana. Incontro Cristina. Ale vuole parlare della crisi dei Be-Folk. Domenica. Domani suoniamo. Sì. E suonerò bene.

L’Istituto musicale oggi era poco Istituto e molto musicale.

Ciao Andrea. Ciao Carlo. Ciao Fabrizio.

Ho finito anche il mio tirocinio. Mi ero affezionato all’ambiente, dopo sei mesi.

La malinconia che ho provato nel salutare tutti, dicendo che andrò a trovarli, e sapendo che probabilmente non lo farò più una volta, era piacevole. Sì. Carlo è simpatico, e si rideva. Ho provato soddisfazione (finalmente) quando ha affermato che io e Fabrizio siamo stati gli stagisti più disponibili, più interessati, più utili (forse non l’ha detto, ma l’ha sicuramente pensato).

Fabrizio domani viene a sentirci al concerto. E domani suonerò bene.

Nell’altra stanza un giovane pianoforte arrancava una salita di note. Ho capito che era “una domenica bestiale” di Concato. Non è per niente facile, sai? Accordi dissonanti…ma io la saprei suonare, domani, pure senza averla mai fatta.

Oggi.

Oggi il bordone si è calmato un attimo.

Posso passare sei minuti da te a salutarti?

Lei è sempre lei. Non c’è niente, ora, che la sostituisca. Capelli ricci castani (anzi, più che ricci, boccolosi, cioccolatinogeni). Non la vedevo da un mese. Il telefono tradisce l’espressione e i miei sfoghi non sono facili da digerire. Dal vivo sono più io. E io oggi avevo la giacca, e la giacca mi fa serio, e la serietà fa da contrappunto alla mia faccia, e il contrappunto crea asincronismo e l’asincronismo, quando non fa ridere, è geniale. Io faccio ridere.

E lei mi guardava la giacca, come se le piacesse guardarmi. La giacca.

E poi oggi era oggi. E il bordone non disturbava la comunicazione. Così eravamo distesi. Niente di quell’indisponenza che esibisco su Messenger.

Un tramonto verde di occhi, pieni di sole, ma il sole non c’era, se non sbaglio. Non importa, la mia memoria ha messo il sole in sceneggiatura, e io lo metto in scena. Perché devo essere fedele alla realtà? Meno padroni ho, meglio è.

La vecchia maglia dell’Archimede. Quanti ricordi, eh? Non smetti di metterla neanche adesso, anche se la partita di pallavolo la giochi con un’altra squadra. E tu che fai oggi, palleggi? Non puoi! Tu non sei alzatrice! Noi persone normali non possiamo preparare un bel concerto in tre prove. Ma tu sei l’eccezione.

A volte non mi sembra così bella come la vedo io.

Eppure sono io a vederla.

E allora a volte non sono io a vederla.

Domani suona bene, mi raccomando.

Domani suonerò bene, te lo prometto. Vorrei fare anche dei brani tuoi, cioè, nuovi. Li farò, spero di averne il tempo. Ho voglia di farli.

Oggi il bordone è zitto, tocca a me.

La scaletta, la faccio stasera.

Vado a fare la scaletta.

Oggi tocca a me.

 

Invece di fare la scaletta ho riletto tutto questo rigurgito di attimi, prima che riparta il bordone.

Ho aggiunto molto e tolto poco.

Troppo lungo.

Nessuno arriverà a leggere fin qui.

Non fa niente.

Prima che riparta il bordone…presto…dai, posso farcela!!

 

Oggi…(sì, ci riesco)

è stata….

 

Una

(non ce la farò mai)

….

(dai)

 

Bella

 (ci siamo quasi)

 

….

giornata?!

 

(Sìììì…)

 

Ce l’ho fatta.

 

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