Le ultime due pagine dei miei appunti "di viaggio", oppurtunamente sistemate.
Tortoreto Lido,5 agosto ‘06
– Disturbo?
– Assolutamente…anzi…
Così ho passato quattro tardopomeriggi a strimpellare al Cafè Cuba Libre, uno dei bar interni al campeggio dove stavo con la mia famiglia. Tanto la cameriera non la disturbavo…anzi, l’altra mi ha perfino chiesto di cantare per loro, un giorno.
Ma a me piaceva quella timida.
Aria pulita di chi non sa di essere carina, e frasi di circostanza di chi ha voglia di parlare, e sorriso innocente da occhi bassi. Occhi di un colore ancora non decifrato, fra il grigio e il verde, a seconda di quanto sole vi era dentro, grandi, a farsi spazio su un viso scuro d’estate, a volte sorpresi a spiare da dietro i fili neri sfuggiti alla comodità di un elastico.
Così qualche ora spalmata in qualche giorno ho passato lì, al Cafè Cuba Libre, commentando con la chitarra il passaggio dei turisti e i movimenti di lei. Qualche parola per raccontarsi velocemente, mentre spazzava il dehor esterno…il vento, le foglie, io che non andavo in spiaggia per il maltempo, improvvisazione del cielo che ho colto come un dono, recandomi invece al Caffè, solitario a suonare al solito tavolino. Dopo un po’ ritiravo tutto e facevo per alzarmi.
– Beato te che ora vai a casa a mangiare…io sono bloccata in questo posto maledetto. C’è gente che sta un mese chiusa qui dentro senza mai uscire…come si fa? Fuori c’è il mondo!…Scusa ti sto dando una prospettiva diversa…
– No, hai ragione. Beh io sto qui una settimana soltanto…mi riposo, faccio vita da spiaggia…
Avrei voluto spiegarle tutto, ma un po’ mi vergognavo. E allora in mente tutti i miei discorsi sui viaggi, e le mie riserve, le mie abitudini, la mia fantasia, i miei spazi mentali, il mio modo di viaggiare lontano guardando una fetta di mare o un foglio di carta o un tovagliolo o una ragazza sconosciuta che mette a posto i tavoli di un bar che odia scambiando due chiacchiere con un turista un po’ meno qualsiasi, forse per lo strano corredo che si porta appresso. E tanto lei, che vede il mare tutte le mattine aprendo la finestra di casa, come avrebbe potuto capire il mio bisogno inappagato di calmi infiniti salmastri scritto nella mia indole genetica?
Così sono ancora qui, sul tavolino al sole.
Oggi è l’ultimo giorno. La saluterò per sempre con un ciao che vale un addio, e si dimenticherà di me domani, come di tutti i visitatori che nei suoi due mesi di lavoro passano anonimi nel bar.
Sono qui, sul tavolino, con l’ultimo sole che mi prega “non te ne andare, io tutte le mattine ritorno”.
Io domattina parto.
E dico addio a questo angolo di mondo, falso come un bel sogno.
Rivoli, 6 agosto ‘06
Rieccomi a casa. E’ sera e sono avvolto da un sottile velo di malinconia.
Come mi ricordava Boccadoro qualche giorno fa, l’arte nasce forse dalla paura della morte. Io aggiungerei dalla paura di essere dimenticati.
Forse per questo ieri pomeriggio, dopo la preghiera dell’ultimo sole, mi sono spostato all’ombra, al solito tavolino del Cuba Libre, ho suonato due canzoni, ho preso il cd che avevo nello zaino, ho scritto la mia mail e il mio numero, ho posato la chitarra, ho iniziato a ritirare il Millenote, Rimbaud, questi fogli e questa penna.
Come ogni volta quando mi vedeva mettere via le cose, la ragazza è uscita a spazzare il dehor.
– Vai a casa a mangiare?
– E’ un po’ presto, ma fa freddo.
– …Scusa, qui non ho la cognizione del tempo.
[Segue una breve discussione sulla mia performance canora della sera precedente]
– Allora io ti saluto,domani parto.
– Di già?
– ———
– E’ sempre triste quando finiscono le vacanze. E’ una parentesi a sé.
[E pensavo a tutte le persone che ho conosciuto nelle mie estati e che sono state perdute fra le pieghe infinite del mondo]
-………
-……..
[Sorrisi, silenzio, una luce negli occhi di lei che raccoglievano gli ultimi secondi di quel sole che il giorno dopo, al contrario di me, sarebbe tornato. Luce breve, per i pochi istanti che sia durato questo momento di sospensione strana, e che belli i tuoi occhi, Donatella, così mediterranei – tu non puoi capire, che vivi al mare, noi gente di città fredde e fumose che spendiamo soldi per passare pochi giorni nel posto che tu sogni di lasciare un giorno – che belli. Era tempo che non riconoscevo in una donna quello sguardo rivolto a me, pieno di qualcosa che non saprei definire, e non mi importa se mi sono sbagliato di nuovo, tanto nessuno me lo potrà provare. Preferisco rimanere nel dubbio, che è un vizio che non mi toglierò mai.]
– Allora…ciao…io vado, ti saluto…ah, volevo darti una cosa…
[Tiro fuori dallo zaino il cd con le mie canzoni che avevo preparato per lei, anche se non lo sapevo, quando ero ancora qui a casa. Le spiego brevemente di che si tratta, e lei mi ringrazia con sincerità, con l’atteggiamento che avrei desiderato mi rivolgesse la Riccia del Giovedì alla consegna della lettera.]
– Grazie…è un pensiero bellissimo…
– Ne porto sempre uno con me, e ogni tanto lo regalo a qualcuno…a ‘sto giro è toccato a te.
La sera poi sono ripassato ancora, le ho chiesto a che ora avrebbe finito, ma lei quando staccava sarebbe andata subito via, povera, dopo otto ore di lavoro.
Così a mezzanotte l’ho salutata per sempre.
L’ultima immagine che ho raccolto di lei, uscendo dal Caffè, la porterò con me per un pò: sistemava il dehor, col suo fare così discreto che nessuno noterebbe la sua presenza, mentre gettava i rimasugli nel cestino, come i ricordi dei mille volti passati dai quei tavolini. Così l’ho vista per l’ultima volta, esattamente come la prima. Lei metteva a posto i tavoli e io, da ultimo cliente rimasto e pure senza consumazione, le avevo chiesto:
– Disturbo?
– Assolutamente …anzi…