Si è molto parlato sui giornali, in questo periodo, della proposta della Lega Nord di introdurre nelle scuole l’insegnamento del dialetto.
Nel pieno stile della Lega, la proposta è stata lanciata quasi come una provocazione, e puntuali sono arrivate le reazioni: chi ha accolto con fervore, soprattutto nel più ampio contesto revisionista che circonda i preparativi per i 150 dell’Unità d’Italia, e chi (mi pare la maggior parte, almeno sui giornali che leggo io) ha stroncato senza mezzi termini la proposta, liquidandola come la classica “sparata” alla Bossi.
Tra le reazioni contrarie, sebbene siano intervenuti nella discussione anche esimi professori, colti giornalisti e politici navigati, mi pare non siano emerse quelle che reputo le questioni fondamentali che fanno di questa proposta (in realtà non così assurda, se fosse pensata in altro modo) la solita inconsistente trovata mediatica, senza valore didattico, e per di più praticamente irrealizzabile.
Chi ha detto che i dialetti non vanno insegnati perché sarebbe roba di poca importanza rispetto alla “grande lingua italiana” che i giovani conoscerebbero sempre meno, e chi ha scritto che renderebbe più difficile l’apprendimento dell’inglese (e perché mai conoscere una lingua in più dovrebbe essere un handicap?) ha aggirato il problema, argomentando per altro con banalità infondate.
Il dialetto è importante, è stata ed è la lingua madre dei nostri nonni, in molti casi dei nostri genitori e di molti giovani, che conoscono anche perfettamente l’italiano. Si tratta di un patrimonio culturale popolare enorme, che non va accantonato o calpestato. Ma non può neanche essere imposto.
Ecco secondo me quali sono i punti fondamentali della questione:
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Il dialetto è una lingua parlata
Esistono alcune tradizioni letterarie dialettali, ma si tratta di un aspetto marginale dell’essenza del dialetto, che è quella di essere lingua ad uso esclusivamente orale. Come si potrebbe insegnare a scuola, istituzione basata sulla cultura scritta?
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Il dialetto, in quanto lingua madre, non lo si può apprendere se non lo si “ha” per nascita
Chi di noi è nato in una famiglia dove si parla dialetto, non ha bisogno di impararlo a scuola. Come da punto 1, si tramanda oralmente in modo naturale. Chi di noi, come il sottoscritto, è nato in una famiglia “mista”, in cui i genitori provengono da italie diverse, il dialetto non lo possiede. E non lo saprà mai, nemmeno se glielo si imponesse a scuola. Immaginate un ragazzo torinese, con padre pugliese e madre siciliana (per non dire araba o rumena, per carità), che dovesse imparare il Piemontese…sarebbe un insulto alla lingua di Cavour.
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In Italia ogni paese (e non ogni regione) ha il suo dialetto
Per ovviare all’insormontabile ostacolo di dover redigere circa 3000 grammatiche, una per ogni lingua italiana (attenzione, in teoria nessun dialetto è quello “giusto”), bisognerebbe insegnare a scuola un dialetto letterario, di maniera, che (vedi punto 1) magari si rifarebbe alla piccola tradizione letteraria regionale, ma non corrisponderebbe affatto all’uso quotidiano del dialetto. Il che non avrebbe senso. In Piemonte, ad esempio, si dovrebbe insegnare un Torinese ottocentesco che a Torino nessuno parla più…figuriamoci nel paesino francoprovenzale dell’alta Val di Susa piuttosto che nella campagna monferrina.
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Gli insegnanti non sono tenuti a essere a conoscenza del dialetto del luogo in cui insegnano (o vivono).
Se gli insegnanti (vedi punto 2) non conoscono un dialetto, e oltretutto non sono stati preparati ad insegnarlo perché all’università non lo hanno studiato, come potrebbero tramandarlo ai propri studenti? Bisognerebbe impedire che insegnanti “forestieri” invadano le scuole altrui…
L’unico modo, a mio avviso, per valorizzare giustamente il variegato patrimonio culturale linguistico del nostro Paese, non è quello di insegnare il dialetto, ma piuttosto dare cenni di dialettologia, con rimandi al quadro più generale delle tradizioni popolari italiane e locali (magari con l’aiuto di collaboratori esterni).
E’ evidente che la Lega, con questa proposta, auspica come al solito un generico quanto vuoto “ritorno alle origini”, appellandosi all’urgenza di salvaguardare tradizioni di cui si ignorano totalmente significati e valori, esclusivamente a scopo politico, per contrasto a tutto ciò che vi è di diverso. Come ideologica è l’idea stessa di Padania, nazione totalmente inventata che si rifà a un mix di tradizioni regionali, cattolicesimo, celtismo, xenofobia ecc…che loro chiamano “radici”.