La neve, generosa, copre i passi sbagliati

Una sottile coltre di neve copre il tetto della casa dove sono cresciuto, mentre sto scrivendo. D’altronde è anche giusto: domenica scorsa l’Orso di Urbiano è uscito, ha impazzato per la borgata di Mompantero, ha ballato con le ragazze e alla fine si è calmato (sì, ha ballato anche con Marta, guardare per credere). Ma era una bellissima giornata di sole, cielo terso e vento gelido. Quindi, secondo i detti tradizionali, ci toccano ancora almeno 40 giorni di inverno profondo.

Linda &; the Grennman a TorinoEd è proprio da qui, da Rivoli, che quest’anno è iniziato con una novità. Con un gilet, un cappello, la fisarmonica di Marta e il vecchio bouzouki nero – che giaceva inutilizzato dai tempi dei DdSAcousticBand – sono corso in aiuto di chi, oggettivamente, non ne aveva bisogno. Sto parlando del neonato duo Linda & The Greenman, ovvero Linda Messerklinger – attrice, modella, eh sì, pure cantante e songwriter – e Gigi Giancursi, autore e chitarrista ex Perturbazione, con cui già ebbi modo di collaborare in passato. La limpida voce di Linda e il morbido fingerpicking acustico di Gigi descrivono atmosfere delicate e oniriche. Il sottoscritto compare di tanto in tanto per condire il tutto con importanti dosi di sberluccicoso realismo sonoro.

Ma le parole sono parole. Credo che il risultato sia piuttosto equilibrato, e al di là di tutto, come si diceva con il buon Gigi, se le canzoni sono belle, il resto è contorno. E le canzoni, secondo me, sono belle.

Qui sotto vi beccate Una stagione in silenzio – primo inedito – dal vivo, con me che alla fine mi faccio un giretto fuori pista.

Se preferite, il singolo in versione originale lo sentite qua, o se addirittura intendete sostenere questi ragazzi, potete anche acquistarlo in digitale a prezzi modici.

Abbiamo fatto insieme già qualche data, compreso un miniminiminitour Vigevano/Novara, con tanto di letti scroccati all’ultimo minuto, nebbia come se non ci fosse una prossima rotonda, liquorosi aperitivi in barsport fermi agli anni ’60, chiacchiere con amici occasionali, capotasti sbagliati, cene a sbafo, grande calore in posti che non avresti detto, campionato di Tetris hardlevel (5 in una Panda con strumenti)… ma si sa, i suonatori ‘ste cose le fanno, se le raccontano, ci ridono sopra, ci ricamano. Il concerto è, in definitiva, un’apostrofo sonoro tra un viaggio in macchina e un riavvolgere i cavi. La musica consiste negli uomini e nelle donne che la fanno, la ascoltano, la ballano; non c’è di niente di trascendentale in questo. E’ vita pura. Alla fine è il contorno quello che amiamo, che non sopportiamo più, che ci appassiona da matti, che ci fa bestemmiare e minacciare che basta, questa è l’ultima volta che prendo una data, che parto, che scrivo una canzone. E a me, che musicista non sono, ogni tanto piace fare una passeggiata in questo luccicante, infido, grandioso luna park, tanto assurdo quanto, in fondo, normale.

Insomma, restate in ascolto per i prossimi giri.

P.S. Ho ristrutturato un pò questo blog, il cui stato è comunque di eterno semiabbandono. A sinistra trovate nuove pagine, come Attività live, Produzioni musicali e Pubblicazioni. Giusto per dare la falsa impressione che io sia una persona seria.

La mia tappa di viaggio nella danza popolare in Italia

Sono orgoglioso di comunicare che è finalmente uscito un libro molto importante, a cui ho dato un piccolo contributo: Viaggio nella danza popolare in Italia. Itinerari di ricerca del Centro Nord, a cura di Noretta Nori (Palombi editore).

Il primo volume è stato pubblicato ormai due anni fa con un altro editore – ne avevo parlato, perchè ero intervenuto alla presentazione\convegno di Monghidoro – e finalmente, dopo vari problemi e vicissitudini, si è andati avanti. Il terzo volume, sul Centro Sud, è in preparazione.

Questo libro è una incredibile raccolta di testimonianze e studi approfonditi sul ballo popolare nel Nord Italia, che ha visto la partecipazione di molti ricercatori e appassionati, coordinati da una delle massime esperte – posso dirlo? – mondiali sull’argomento, Placida “Dina” Staro. Il libro è ricchissimo di tematiche, e si configura appunto come un viaggio – dalle Alpi agli Appennini settentrionali – focalizzando contesti etnografici, stili di danza, culture coreutico-musicali. Il tutto corredato da un ricco e bellissimo apparato fotografico, nonchè da un dvd contenente un gran numero di contributi audiovisivi girati e montati dai vari autori.

Erano decenni che si aspettava di realizzare un lavoro del genere. E sono fiero di aver contribuito, nel mio piccolo, a diffondere qualche notizia sul ballo a palchetto, la balera viaggiante tradizionale per il ballo liscio in Piemonte. Quella rotonda col tendone, per intenderci. Il saggio, dal titolo Piemonte: il ballo a palchetto, è diviso in due parti – la seconda è stata scritta da Domenico Torta – e parla anche di squadre da ballo, quintèt di fiati e repertori di liscio vecchio diffusi dalle bande musicali.IMG_20140723_135337

Il taglio dell’opera e la sua vastità rendono questo lavoro un documento importantissimo, una fotografia fedele della situazione attuale del ballo popolare in Italia, con punte di approfondimento particolarmente curate, figlie di ricerche etnografiche pluridecennali sui più importanti repertori di danza (Carnevali alpini, Valli Occitane, Quattro Province, Appennino Emiliano e Romagnolo, Saltarello marchigiano ecc…)

Un pò mi spiace per le assenze illustri della mia regione, in particolare le danze armate. D’altronde tutto non poteva starci, e per queste specifiche situazioni esiste comunque una bibliografia di riferimento (ad es. Le spade della vita e della morte), oltre alle importanti considerazioni generali apparse sul primo volume dell’opera Viaggio della danza popolare in Italia .1 Guida allo studio della funzione e della forma.

Sono molto felice di avere avuto l’opportunità e la fortuna di partecipare a questa impresa – ricordo quando Dina mi scrisse per propormi questa cosa, ricordandosi di me non so come –. Vorrei ringraziare tutti, da Domenico Torta, grande maestro di vita e di musica, che ha condiviso con me lo spazio del saggio, a Noretta che mi ha accettato a scatola chiusa, a Dina, ovviamente, per avermi insegnato così tanto in così poco tempo, a Marta, che mi sostiene sempre, agli amici di Caprie e Villar Focchiardo, grandi protagonisti – ormai da 5 anni – di questa piccola avventura.

La Lachera dietro la maschera

"Carassa" - palo rituale della LacheraTra i posti dove sono “nato”, e dove sono ritornato, c’è anche Rocca Grimalda. Piccolo paese dell’Alto Monferrato, che vedi se stai andando da Alessandria verso Genova, prima che inizino le gallerie.

Laggiù c’è la Lachera, un Carnevale unico, di quelli che gli antropologi ci vanno matti, ne parlano, ne scrivono, ci bevono su. Noi che siamo etnografi della domenica, preferiamo parlare con Giorgio, che di Lachera ne sa più di tutti, perchè la fa, ne tiene le fila, la vive. La domenica è più bello, ci ha detto, tutti indossano la maschera, i costumi sono a posto, non manca nessuno. Però… se volete vedere la festa vera… dovete venire sabato sera.

E infatti durante la questua serale abbiamo respirato un clima di grande effetto, coesione, amicizia. Abbiamo visto finalmente in atto le danze di cui tanto avevamo sentito parlare: la giga (che vedete nel mio video qui sotto), il calissun, la lachera, la monferrina e la curenta. E tutto quello che abbiamo letto e sentito finalmente assume senso. Sei osservatore, è vero, ma dentro fino al collo, con il bicchiere in mano, il salame, la zuppa di ceci, e ringrazi le padrone delle case ospitanti. Particolarmente suggestivo camminare al buio sul crinale della collina.

L’accoglienza è stata ottima da parte di tutti, abbiamo fatto incontri incredibili, come sempre.

Certo, il giorno dopo c’era il sole, c’era tanta gente, il convegno sulla figura del Lacchè, i simpaticissimi e bravissimi ospiti del Carnevale di Benedello, dall’Appennino modenese… atmosfera molto carica. Si coglieva l’altra faccia, scavando nel profondo, nella storia, nella cultura, nel simbolo. La sera prima ci era sembrato di intuire il significato della tradizione in continuo divenire, nell’istante che si manifesta oggi, con una presenza reale, attuale, un ritrovo di amici, un rinnovarsi di legami antichi, lo stringersi di nuovi. Un significato molto concreto. C’erano i tradizionali personaggi del Carnevale (gli sposi, i Lachè, il bebè, gli zuavi, il guerriero, i trapulin…), ma soprattutto c’erano le persone.

Esperienza magnifica, entrambi i giorni.

Ma noi forse siamo etnografi del sabato, più che della domenica.

Quei paesi che ci devi ritornare

Ci sono dei paesi che potrei definire magici. Sono depositari, più di altri e chissà per quali radicate ragioni, di saperi, misteri, memorie. Per le mie inclinazioni sono portato a notare i paesi “musicali”, quelli che vivono di esperienza sonora, dove la gente canta, dove il tempo è scandito dai suonatori.

In genere questi luoghi sono abitati da persone meravigliose, e quando ci passi tendi a volerci rimanere. Poi ritorni alla realtà, ma qualcosa si è mosso. Questi luoghi segnano, lasciano tracce: se li sai capire, sono capaci di illuminarti il mondo da punti di vista che mai avresti pensato. Somigliano a certi libri, ma io li preferisco, perchè il libro è esperienza privata. Il segreto di questi paesi, secondo me, sta nella socialità e nella condivisione.

Ne ho incontrati di posti così durante e mie piccole peregrinazioni, e ognuno di questi mi ha lasciato, in misura diversa, qualcosa. Cito Riva presso Chieri, Caprie, Portacomaro, Villar Focchiardo, ma non sono i soli. L’ultimo in ordine di tempo è un piccolo paese dell’Appennino bolognese, che si chiama Monghidoro.

Non dirò altro. Ci sono cose a cui la lingua non può arrivare. Lì, ad esempio, per capire, bisogna ballare.

E ballando, lì, ho conosciuto anche un’altra piccola comunità, formata dagli etnocoreologi che si occupano di danza tradizionale italiana: una manciata di persone squisite che arrivano da un pò tutto lo stivale, e ogni tanto si incontrano. L’ultima volta che ciò è accaduto ufficialmente, non ero ancora nato.

Qualche settimana fa, in questo incrocio di comunità, ho partecipato al mio primo convegno come relatore (con tanto di “cerimonia d’iniziazione” a suon di applausi).

Non poteva essere inizio migliore.

Ci sono paesi che prima o poi ci devi andare. Ma in certi paesi, invece, ci devi ritornare.

Io a Monghidoro ci ritorno.

P.S.

Se a qualcuno interessa, a proposito di condivisione, allego la presentazione della mia relazione Liscio e ballo a palchetto in Piemonte, ricca di foto e riferimenti audio\video (scaricabile in ppt seguendo il link).
Se non fosse ovvio, ricorderei che chi volesse utilizzarla in qualche forma, in linea di massima può farlo, ma è comunque auspicabile che prima mi contatti, e che poi citi la fonte. E ricordo anche che il saggio di riferimento, in cui tutto è spiegato, uscirà presto all’interno del libro curato da Noretta Nori, Viaggio nella danza popolare in Italia .2 – Itinerari di ricerca del Centro Nord, edito da Palombi. (Intanto è già uscito il primo volume – Guida allo Studio della funzione e della forma -, che è illuminante…)

E bene venga maggio…

La primavera è iniziata da un bel pò, anche se non si direbbe. Infatti non ho ancora preso un gelato cioccolato e limone, e questo significa che alcune cose stanno cambiando.

Si potrebbe quasi dire che inizio ad assaporare il gusto di qualche soddisfazione. No, la musica non c’entra, quella rimarrà il sogno che è, ma qualcosa si sta muovendo.

Ieri mattina ho firmato un contratto con l’Università di Torino, per un progetto molto interessante – lavoro a tempo determinatissimo, sia chiaro – che riguarda… boh, difficile da spiegare (e da capire), ma c’entrano la produzione audiovisiva, la semiotica, lo strutturalismo, il web semantico e un sacco di parole inglesi che mi toccherà imparare. Finalmente, dirà qualcuno.

Intanto lunedì 14 maggio presenteranno al salone del libro di Torino la prima pubblicazione a cui ho ufficialmente dato il mio piccolo contributo come autore di saggi. Si tratta di Le fonti musicali in Piemonte III – Asti e provincia, edito da LIM, terzo volume di una collana di cataloghi di fondi musicali piemontesi. I miei articoli riguardano i fondi che ho censito nell’astigiano, in particolare la collezione di strumenti musicali del Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco e gli archivi di alcune bande – ovvio -: quelle di Agliano Terme, Castiglione d’Asti, Tigliole e Portacomaro. Ancora l’amato Monferrato che mi ha fatto conoscere ottime persone, qualche personaggio indimenticabile, e intensi barbera.

Infine dovrebbe essere ufficiale che entro fine anno uscirà anche un altro mio saggio, pubblicato su un libro presumibilmente fighissimo, in tre volumi, che raccoglierà saggi dei più importanti etnocoreologi italiani (e io sarei fra questi?) sulla danza popolare in Italia. Ovviamente io ho scritto di ballo liscio, ballo a palchetto. Forse il saggio sarà corredato da un video che ho montato per l’occasione, una chicca che vi posto qua sotto.

La mitica banda di Caprie ha pensato di provare a ricostruire il vecchio modo di suonare e ballare della prima metà del Novecento, con le suonate raggruppate in quatriglie – cioè in suite di 4 pezzi – e l’uso della corda per disciplinare l’affluenza di ballerini paganti. Ma maggiori informazioni su questo appassionante mondo le trovate nella descrizione del video su Youtube.

Si tratta ancora di un tentativo, ma confido che avrà seguito… il risultato è stato comunque molto interessante. Ve lo giuro. Tra l’altro ho presentato io quella serata

Viva il dottore (un anno dopo)

Estate, tempo di balli a palchetto.

Il primo luglio ricorre l’anniversario della mia laurea specialistica. Vorrei ricordare l’evento soprattutto per un motivo, e cioè il bel regalo che mi hanno fatto gli amici della Banda di Caprie e di Villar Focchiardo venendo a suonare alla discussione

Ebbene sì. Per chi non lo sapesse ho fatto delle ricerche in alcuni nuclei bandistici della Val di Susa, con l’intento di documentare quello che rimane della grande tradizione piemontese delle squadre da ballo (o quintèt, o musicant…), ovvero quegli organici bandistici ridotti che suonavano sui balli pubblici e nelle aie, improvvisando le parti di accompagnamento secondo regole condivise. Con piacevole sorpresa ho scoperto che questa tradizione musicale  si è qui solo riadattata e rinnovata. Insomma, ho trovato alcuni simpatici “anelli mancanti” tra la squadra da bal anni Trenta e il liscio moderno.

La sala lauree di Scienze della Formazione a Palazzo Nuovo è stata quindi invasa da una piccola delegazione di musicanti che con bossotuba, trombone, trombe e clarini hanno colorato la mia investitura… Potete ascoltarne l’esibizione qui: http://soundcloud.com/dariodeseppo/viva-il-dottore. Hanno avuto la bellissima idea di adattare un brano tradizionale delle feste di leva: il mio personale rito di passaggio non poteva essere sottolineato meglio!

Segnalo ancora, a proposito, due importanti appuntamenti che si svolgeranno domenica 10 luglio: al pomeriggio, a Riva presso Chieri, in occasione della recente riapertura del Museo del Paesaggio Sonoro, avrà luogo una “Gem Sescion” di musicanti da ballo, in cui si sperimenterà l’improvvisazione su temi prestabiliti di valzer, polche e mazurche – a guidare le danze saranno I musicanti di Riva presso Chieri; la stessa sera, a Caprie, in occasione della festa patronale e dei festeggiamenti per i 110 anni della banda, la squadra locale (I Feu e fiame) suonerà sul ballo (nel video potete vedere un sunto del 2009): quest’anno parte della serata sarà dedicata ad un primo tentativo di ricostruzione del vecchio ballo a quatriglie.

Le quatriglie rappresentano la tradizionale maniera di organizzare il ballo: 1 biglietto per una suite da 4 danze (liscio, brani brevissimi), al termine della quale i ballerini venivano letteralmente spinti fuori dal ballo a palchetto con una corda per far spazio ai nuovi. Un sistema a giri simile a quello delle giostre (e le strutture viaggianti piemontesi per il ballo, rotonde, le ricordano un pò). Ma se ne volete sapere di più potete fare due cose: leggere la mia noiosissima tesi Le bande e le squadre da ballo. I repertori tra  liscio e tradizione, o venire su a Caprie il 10… a presentare la serata sarà il sottoscritto!

Il Museo del Paesaggio Sonoro

Domenica scorsa, giorno di Sant’Albano, a Riva presso Chieri è stato inaugurato il Museo del Paesaggio Sonoro.

Ecco lo specchio della memoria sonora della comunità di una piccola zona agricola del Piemonte che non ha conosciuto la ricchezza raffinata di Torino, nè la la fortuna enogastronomica della Langa. Pianura, terra, meliga, maiali, cortili. E uccelli,  balli a palchetto, campanili. E in tutto questo, soprattutto, gente, uomini e donne.

Il Museo del Paesaggio Sonoro va vissuto, perchè parla di un mondo che è stato, e di un mondo che è. Ogni oggetto ha una storia, ogni storia ha una bocca che l’ha raccontata e un’orecchio che l’ha sentita, dietro ogni oggetto ci sono persone, dietro le persone c’è un complesso sentire comune di conoscenze e reti interpretative che chiamiamo tradizione, e da cui qualcuno ogni tanto emerge, lancia un messaggio e poi ritorna dentro.

Uno di questi è certamente Domenico Torta, maestro, professore, compositore, musicista, attore, ricercatore, uomo, che in quel mondo è nato, e poi è riuscito ad allontarsi quel tanto che basta per poterlo guardare da fuori, l’ha compreso, l’ha pensato, l’ha ritrovato, ci è rientrato e ce l’ha finalmente restituito. Nasce così, dopo decenni di ricerca, il Museo del Paesaggio Sonoro. A dargli voce ci sono I Musicanti di Riva presso Chieri, di rara bravura interpretativa, con uno spettacolo estremamente divertente ed emozionante, pieno di gag musicali sbalorditive.

L’impatto con questa realtà, qualche anno fa ancora provvisoria, è stato per me forte, importante, e sono orgoglioso di aver potuto dare il mio piccolo contributo. Mutare prospettiva, entrare ed uscire nello sguardo e nell’udito degli altri (o siamo noi?) in un gioco multimediale e multisensoriale di immagini, rumori, animali e cose. Corteccia, scarti di macellazione, argilla, metallo, sedie, barili, plastica, zucche, bottiglie, materia che diventa  idea, pensiero, suono, sogno, paesaggio, cultura, vita.

Müsica da poc, musica fatta di niente. Questo siamo, dopotutto.

Viva le Barbuire!

Ieri pomeriggio, vista la bella giornata, ho pensato che poteva essere una buona idea andare a seguire un carnevale. Ho optato per il rinato Carnevale del Lajetto, piccola borgata montanara nel territorio di Condove. In effetti, se escludiamo che mi sono perso a causa di informazioni sbagliate, cartellonistica poco chiara e navigatore dimenticato (ma di cui non mi sarei fidato), è stata una buona idea.

Il carnevale al Lajetto è stato riproposto nel 2010 per la prima volta dopo più di 50 anni. Grazie al lavoro di alcuni antropologi e in base ai ricordi degli anziani, si sono ricostruite tutte le fasi del rituale, caratterizzato dalla presenza delle Barbuire. Le Barbuire sono dei personaggi mascherati in modo assolutamente grottesco, che rivestono alcuni ruoli definiti all’interno di una sorta di dissacrante rappresentazione  tipicamente carnevalesca.

Come per ogni evento di questo genere, una qualsiasi descrizione non potrà mai sostituire la sensazione che si prova vivendolo. Dal momento in cui parte il giro, con la squadra ballabili in testa – in questo caso i Sunadur ‘d Moce – entri a far parte del gioco. Nulla potrà risparmiarti la segatura sparsa dai balconi, le palle di neve lanciate a tradimento alle spalle, il pantano che ti fa scivolare tra le viuzze minuscole, il fango sparso in faccia da Barbuire irriverenti, che urlano versi incomprensibili, fanno gestacci, mimano accoppiamenti, muoiono, resuscitano, prendono a calci i presenti.

Tutto si conclude con il taglio della testa del gallo appeso ad un albero. Rituale che si ritrova in molti altri carnevali (nell’Astigiano di solito è un pitu, un tacchino) e che ha alto valore simbolico – classica morte dell’inverno, propiziare la bella stagione ecc… Tranquilli, non era una gallo vero (come una volta). Purtroppo, aggiungerei.

E’ stato un pomeriggio divertente, un carnevale di grande forza e impatto, anche per il suggestivo teatro in cui si svolge – gli stretti vicoli tra i muri di pietra delle vecchie case – e per le bellissime maschere ricalcate fedelmente su quelle tradizionali.

Bilancio della giornata. Ricoperto di vario schifo ecosostenibile (niente a che vedere con le bombolette di stelle filanti chimiche), ho ascoltato e registrato una buona dose di ballabili per piccole formazioni bandistiche di cui notoriamente sono ghiotto;  ho vinto una gara di sguardi contro una Barbuira (vi assicuro, faceva davvero paura); con un’altra invece ho ballato un valzer: alla fine mi ha ringraziato alzandosi la gonna e mostrandomi, naturalmente, la sua rosa.

Al Carnevale di Ivrea – ovvero un martedì grasso piacevolmente sinestetico

Non ero mai stato a Ivrea, ma soprattutto non ci ero mai stato durante il Carnevale.
Sapevo che era spettacolare, avevo sentito telegiornali e banalità varie sulla presunta violenza, sui feriti, le arance congelate, gli sprechi ecc…tanto che pensavo che non sarebbe mai valsa la pena di fare quei 60 chilometri. E invece mi ci sono trovato dentro, con una compagnia per altro inusuale (Marta, un etnomusicologo e una compagna di corso).”Gita” universitaria piuttosto particolare, di quelle che non sai se raccontarlo in giro…lo scopo era di vivere da vicino la dimensione “sonora” del Carnevale.
E’ stato un martedì grasso particolarmente intenso, io che al massimo mi ero spinto in corso Francia a vedere i fuochi artificiali di Rivoli.
Immerso in quell’atmosfera intensa, sospesa, fuori dal tempo eppure così reale, viva, incredibilmente tangibile e paradossalmente così precisa nella sua follia, le sensazioni che si accumulano in sinestesie assurde, mai provate prima, non hanno nulla a che vedere con l’immagine che mi ero fatto di quel Carnevale, in cui la celebre battaglia delle arance non è che uno dei tanti rituali.
Cercando di focalizzare su quelle sensazioni, che sono state intense e sovrapposte, e per lungo tempo (sono stato lì quasi 12 ore, senza tregua), penso di aver percepito il Carnevale molto fisicamente.
Ricordo ad esempio piazza del Borghetto, piccola, tra il ponte e una strettoia in salita, facce già minate dalla battaglia, grondanti dolce sangue d’arancia, visibilmente stanche e soddisfatte, e il grande profumo che rende l’aria irreale, e poi dal ponte avvicinarsi i carri trainati da cavalli addobbati e sonori come sonagli d’argento, e subito sentire i tonfi della frutta infranta sui carri e sulle persone, la vista confusa del disordine dei tondi proiettili rossi, l’udito saturo di urla, canti e cori da stadio, le squadre in estasi, schivare i colpi,  poi un altro carro, poi un altro, e sempre più arance in aria e per terra, fino a che l’ultimo scompare nella via e rimane solo la piazza coperta di melma gialla e grigia, le facce ancora più stravolte, e un profumo intenso risale gonfiando l’aria. I piedi stanchi fanno male, e arrancano scivolando nella melma dolce e odorosa, mentre da lontano i Pifferi acuti traffigono l’aria con la loro musica penetrante e trascinante, e i colpi dei Tamburi misurano l’avvicinarsi del corteo, sempre più forte, finchè non compare, e poi il Generale, le acclamazioni della folla, gli Abbà, la Vezzosa Mugnaia e tutto il resto. Tutti i sensi sono stati impegnati.
Alla fine della giornata, centinaia di persone seguono in religiosissimo silenzio i Pifferi e Tamburi, che eseguono lo stesso triste brano per tutta la durata del giro della città. Nessuno osa parlare, come a un vero e proprio funerale.Questo profondo calarsi nell’atmosfera del Carnevale, il rispetto devoto e per la tradizione, e al tempo stesso la sua attualità – ragazzini in prima linea che rinnovano i costumi – mi hanno molto impressionato.

 

Abbruciamento degli scarli Emozionante.