Masche nell’aria

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Zucche a Locana Canavese – Foto di @Zuccaviolina

Lo so, questo blog è stato trattato molto male, abbandonato più volte e più volte illuso che si sarebbe ripreso. Ma c’è anche da riconoscere che, alla fine, chi se ne importa.

Se raramente mi viene voglia di scrivere, e poi tanto la voglia passa in fretta, vorrei parlare di cose che affondano nell’immaginario collettivo quasi dimenticato, ma mai perduto del tutto, legato alle ricorrenze e alle festività, al ciclo delle stagioni e alle tradizioni ad esso legate.

Per esempio questo è il periodo dell’anno in cui si conclude tradizionalmente il lavoro nei campi, e i margari scendono dagli alpeggi con le loro mandrie. Arrivano i freddi, le giornate si accorciano, le ansie dell’inverno iniziano ad addensarsi, come questo inquinamento che ci fa respirare male, come il fumo di questi maledetti incendi. La cultura popolare ha soddisfatto l’esigenza di dare un nome e un posto a queste paure, e quindi ha fornito la chiave per superarle, alla fine, con una festa.

Ogni anno il giorno di Tutti i Santi io e Marta andiamo a trovare i suoi cugini a Locana, in valle Orco, dopo un saluto alla nonna al piccolo cimitero di montagna.

Oggi anche lì, come nei paesi anglosassoni, i bambini il 31 ottobre vanno a chiedere i dolci di casa in casa. Il giorno dopo però devono stare molto attenti, perché tutti sanno che nella notte del primo novembre passa il corso dei morti. Tutti in fila, in corteo, i defunti camminano con una fiammella accesa sulla punta del dito mignolo. Allora è meglio lasciare la tavola apparecchiata tutta la notte, con delle castagne e qualcos’altro da mangiare: passando, e rifocillandosi, i defunti lasceranno in cambio qualcosa, magari dei dolci.

La ultranovantenne cugina Maria, un paio di anni fa, ci ha raccontato altre storie terrificanti transitate dall’Ottocento montanaro alla modernità, in un sincretismo fantastico e pragmatico. Abbiamo quindi appreso che Locana era un paese di streghe, e forse qualcuna c’è ancora: quando si passa vicino alla loro dimora – perchè tutti sanno dove sono – è buona norma incrociare le dita nel gesto apotropaico nostrano (pollice pinzato fra indice e medio) per evitare il malocchio. Ad esempio c’era questa signora, chissà quanti anni fa, che per far togliere il malocchio alla sua bambina, affetta da inspiegabili febbri, è dovuta andare da una fattucchiera specialista fino a Torino – 60 km in bicicletta -. Perchè il controincantesimo funzionasse, la signora dovette tornare a casa velocemente senza voltarsi mai indietro, nonostante un’inquietante presenza alle sue spalle e incurante delle voci che la chiamavano. Il mattino dopo la figlia era guarita.

E poi ci ha detto delle masche, che si presentano sotto forma di splendidi animali bianchi: se li incontri e te li porti nella tua stalla, come successe ad un certo prete, la mattina dopo li ritrovi trasformati in bellissime donne, senza vestiti. Peccato che dopo averle viste muori.

Ma queste cose una volta erano per terra, mentre ora sono nell’aria, aveva concluso Maria. Come a dire forse che un tempo erano reali, facevano parte della vita quotidiana, le persone ci credevano davvero; invece oggi sono solo (più) storie, retaggi culturali. Ma, evanescenti, esistono ancora, e a volte ritornano.